Giancarlo Giorgetti non ha in mente di seguire la Germania sulla strada calvinista e un po' autolesionista dello «Swarze null», ma è convinto che sia «un dovere morale» avere come «primo obiettivo» il raggiungimento «del pareggio di bilancio al netto della spesa per interessi».
Intervenuto ieri al Festival di Open, il ministro dell'Economia aggiunge uno step a quella linea rigorosa, più che del rigore cieco sui conti pubblici, che ha tenuto una volta entrato a far parte del governo Meloni. E che impone di utilizzare col bilancino del farmacista le poche risorse a disposizione. Anche se una mano arriverà dalla revisione delle serie storiche del Pil 1995-2023. «Tesoretti non ce ne sono - mette però le mani avanti Giorgetti - : cambia qualcosa, ma non sarà la soluzione dei problemi». Né può esserlo, almeno nell'immediato, la proposta di Mario Draghi di aprire la strada al debito comune nell'Ue: «In queste condizioni attuali sarei piuttosto scettico. La politica è soprattutto decisione e non credo che sia semplicissimo decidere in questo senso in Europa per l'attuale sistema di regole a livello comunitario». Senza via di fuga, sgarrare non si può più: sia la procedura d'infrazione per disavanzo eccessivo che ha colpito il Paese, sia le nuove regole del Patto di stabilità impongono un aggiustamento forzoso delle finanze pubbliche. Il ministro si è infatti dato due obiettivi: comprimere il deficit sotto il 3% già nel 2026 e non sforare l'1,5% di crescita media della spesa netta. Per poterli centrare serve «una legge di bilancio seria e responsabile, come hanno dimostrato questi due anni governo», che «hanno prodotto risultati, basta vedere lo spread». La barra dritta sui conti, e di riflesso la sostenibilità del debito, è una condizione necessaria per evitare surriscaldamenti dei differenziali di rendimento, soprattutto ora che è venuto meno lo scudo protettivo della Bce e in un periodo di tassi ancora elevati. Serve quindi una manovra da 25 miliardi di euro? La legge di bilancio, ha riposto il ministro, «dovrà essere dello 0,5% di correzione» e «le misure utili per le famiglie italiane, come il taglio del cuneo contributivo, siamo impegnati non solo a confermarle, ma a renderle strutturali negli anni a venire».
Il resto dipenderà da quanti quattrini resteranno. Resta così sub judice l'ipotesi di abbassare dal 35 al 33% l'aliquota Irpef per i redditi fino a 60mila euro. «La prima cosa da fare - ribadisce più volte Giorgetti - è la manovra correttiva» e solo «dopo che ho chiuso il buco, si può parlare delle nuove possibilità». Di sicuro non si intende sprecare risorse con interventi a pioggia, ora che «dopo anni di indebitamento alle stelle, stiamo tornando in linea di galleggiamento». Ciò significa sacrificare alcuni bonus («alcuni sono malus, dipende dai punti di vista») ed evitando fughe in avanti come quella del Superbonus per l'edilizia, «intuizione giusta», ma gravata fin dalla nascita dal 110% di detrazione delle spese sostenute e applicata «in modo sbagliato». Per due ragioni: perché quella misura «doveva essere riservata esclusivamente alla prima casa di abitazione» e, in secondo luogo, «doveva riguardare solo i redditi bassi e medi».
Quanto alla crescita economica, Giorgetti dà per acquisito l'1% nel 2024 anche se
l'estate ha portato qualche ombra. Confcommercio pare più pessimista: «Il terzo trimestre è andato perso. Si punta sul quarto». E con l'emergere di segnali di rallentamento, non si andrà oltre un +0,6% di Pil a fine anno.
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