Mai le Generali sono state al centro di una battaglia così aspra tra i suoi grandi azionisti. E la posta in palio è più strategica che mai: è il controllo di un big finanziario con 680 miliardi di riserve investite, 60 delle quali in titoli di Stato italiani. Nella storia recente sono stati diversi gli attriti tra Mediobanca, che tiene il pallino della compagnia triestina da oltre 50 anni, e i vari protagonisti della finanza nazionale e internazionale (soprattutto francesi) che su Generali volevano avere un ruolo. Ma lo scontro in corso è di quelli «finali», dopo i quali nulla sarà più come prima. Con il piano industriale presentato ieri, l'ad di Generali Philippe Donnet si presenta al mercato chiedendo un terzo mandato triennale. Mediobanca è con lui. Ma due grandi imprenditori quali Del Vecchio e Caltagirone (nella foto), che a Trieste hanno investito 4 miliardi, ritengono che Generali sia gestita come un gigante addormentato. Chiedono manager più ambiziosi, ritenendo che la crescita del 6% dell'utile sia obiettivo modesto e che Generali potrebbe fare molto di più in termini di creazione di valore, mentre i manager messi lì da Mediobanca si limitano a garantire a soci una rendita costante. Rendendo il Leone più simile a un agnello. I pattisti (hanno siglato un accordo con Fondazione Crt) sveleranno un loro piano per la compagnia triestina a fine gennaio: ci sarà una strategia, un team di manager e un ceo italiano, generazione cinquantenni. Le azioni di Gnerali in tasca al patto, oggi al 16%, dovrebbero salire fino al 18%, quasi pareggiando Mediobanca, storicamente al 13%, ma che in vista della battaglia ha preso in prestito un altro 4% di diritti di voto e che può contare su un altro prestito, quello di De Agostini, sull'1,4%. La partita si giocherà in assemblea, dove gli investitori istituzionali valgono il 40%. Ma potrebbe non finire lì: se i pattisti dovessero perdere entro un limite dell'8-9%, avrebbero gioco facile a ribaltare la situazione, al netto dei titoli a prestito. E in ogni caso bisognerà vedere se Del Vecchio, oggi al 20% di Mediobanca, si muoverà per salire ancora al «piano di sopra».
Il piano di
Donnet, in altri termini, non muove nulla, né svela nulla che già non si sapesse. La partita si gioca a un altro livello, riguarda il futuro dell'unico gruppo finanziario italiano di peso internazionale, ed è appena iniziata.
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