I conti pubblici delle diverse amministrazioni comunali italiane sono da sempre una giungla per chiunque abbia tentato paragoni e confronti. Bilanci poco trasparenti e voci di spesa sibilline sono una costante. Dal 2010 proprio per districarsi in questo ginepraio il Sose, una società partecipata della Banca d'Italia e del Ministero del Tesoro, ha raccolto una mole impressionante di dati suddividendoli in sei comparti: burocrazia interna, polizia locale, istruzione pubblica, territorio e viabilità, ambiente e politiche sociali. Ora basterà incrociare i dati per capire chi butta il denaro pubblico.
Non a caso molti sindaci sono già nel panico nel timore che le scarse risorse disponibili vengano distribuite in base a questi dati. Fassino, presidente dell'Anci, ha già messo le mani avanti facendo sapere che i dati si riferiscono al 2010 e fotografavano una realtà ben diversa dalla situazione delle amministrazioni comunali colpite dal patto di stabilità tra il 2011 e il 2013. Su una cosa bisogna dargli ragione, i numeri sono affidabili, ma il modo in cui vengono interpretati può essere fuorviante.
Confrontando il dato complessivo del fabbisogno standard degli enti locali con la spesa effettivamente sostenuta emerge un virtuosismo insospettato per le amministrazioni del Meridione. Ma come fanno notare Stella e Rizzo del Corriere della Sera sono le singole voci di spesa a chiarire la realtà. Come spiega il Sose "le regioni meridionali risultano spendere più dello standard nel settore dei servizi generali di amministrazione e controllo (burocrazia e dipendenti in genere) e dall'altro spendere meno dello standard nel settore dei servizi sociali".
Ad esempio nel confronto tra Perugia e Lamezia la prima ne esce piuttosto malconcia. Il capoluogo umbro ha speso il 31 per cento in più rispetto allo standard mentre la città calabrese il 41 per cento in meno. Poi si scopre che Lamezia risparmia su sulla riscossione dei tributi, sugli asili nido e sulle spese sociali per mantenere il peso faraonico di servizi burocratici come l'anagrafe, lo stato civile e il servizio elettorale per cui basterebbero 468mila euro l'anno e invece ne vengono spesi tre volte tanti. La "spendacciona" Perugia preferisce investire su ambiente, smaltimento dei rifiuti e trasporti pubblici spendendo 92 milioni di euro rispetto ai 32 stimati. Uno "spreco" che viene premiato ogni anno nelle classifiche della qualità della vita nei vari comuni italiani.
Allontanandosi dai comuni di piccole e medie dimensioni si arriva alle metropoli. Per un confronto tra Milano e Roma sono state prese in considerazione le spese per la polizia locale confrontandole con la loro efficacia. Roma spendeva nel 2010 378 milioni di euro (più 14,5 per cento rispetto allo standard) contro i 147 di Milano (meno 38 per cento rispetto allo standard). Nonostante la spesa, i quasi 6mila vigili romani fanno 3 multe a settimna a testa e 27mila sanzioni l'anno contro la multa al giorno pro capite e le 80mila sanzioni annuali dei 3100 colleghi meneghini. A discolpa dei vigili capitolini va detto che spesso operano senza le attrezzature necessarie, non potento permettersele. Il comune di Roma, nonostante i 50mila immobili di sua proprietà spende tre milioni e mezzo l'anno di affiti per le sedi dei vigili urbani contro il 30mila euro spesi a Milano.
Per mantenere questa voce di bilancio si risparmia su infrastrutture considerate non necessarie come le telecamere di sorveglianza a disposizione del comune. A Milano in 181 chilometri quadrati se ne trovano 1359 contro le 45 sparse per i 1285 chilometri quadrati di Roma: una telecamera ogni 48 chilometri quadrati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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