«Jay, mi passi il tuo speech?». «Le voilà, Christine». Da una sponda all'altra dell'Atlantico, abbiamo ormai due figure di banchieri centrali perfettamente intercambiabili, tanta è la comunione d'intenti fra Federal Reserve e Bce. Così, Jackson Hole ha offerto ieri il proscenio perfetto per sublimare il pensiero unico e imperante della politica monetaria post-Covid: quello riassumibile nel mantra-litania secondo cui l'inflazione resta troppo alta: ergo, i tassi devono salire ancora.
L'ha detto e ripetuto Powell nei dieci minuti che ha concesso alla platea del simposio nel Wyoming, una manciata di secondi in più rispetto allo scorso anno, quando da super-falco scioccò l'America anticipando quel po' di dolore che sarebbe derivato dalla raffica di rialzi del costo del denaro; l'ha detto e ripetuto la Lagarde nel ricordare che la lotta all'inflazione non è ancora vinta e che quindi i tassi saranno mantenuti restrittivi per tutto il tempo necessario. Parole che riducono le possibilità di una pausa in settembre.
Rispetto alla capa dell'Eurotower che ha un'inclinazione naturale nel seguire da che parte tira il vento, con gli anni Jerome è cambiato: si è fatto più spigoloso e meno cerchiobottista. Bandite le supercazzole da esegeti di Eccles Building, dice in faccia le cose come stanno. Un taglio dei tassi, per esempio, non merita neppure un post-it in agenda. L'ascensore dei Fed Fund può solo scendere o, meno probabile, restare al piano: Sulla base dei dati in arrivo - spiega - procederemo con cautela nel decidere se stringere ulteriormente o, invece, mantenere costante il tasso ufficiale e attendere ulteriori dati. Tanto basta a Wall Street per vedere il bicchiere mezzo pieno (+0,9% a un'ora dalla chiusura), malgrado il successore della Yellen non dia corda alla scappatoia con cui alcuni democratici vorrebbero alzare il livello ottimale d'inflazione. Il 2% è e rimarrà il nostro obiettivo, taglia corto il numero uno della Fed. Brutale alla bisogna, lirico da baci Perugina se serve a sottolineare l'ingrato compito del banchiere centrale (Come spesso accade, navighiamo tra le stelle sotto un cielo nuvoloso), Powell sa di muoversi sul filo del rasoio. Parla di rischi bilaterali: fare troppo poco e quindi consentire il radicamento di un'inflazione superiore al target, oppure fare troppo, e causare danni inutili all'economia.
Ma poi, a regolare pensieri, parole e opere è sempre quella tirannide dell'inflazione. Sebbene l'inflazione sia scesa dal suo picco rimane troppo alta. Due mesi di buoni dati sono solo l'inizio: siamo pronti ad aumentare ancora i tassi, se opportuno, e intendiamo mantenere la politica monetaria a un livello restrittivo fino a quando l'inflazione non rallenterà in modo sostanziale. Il lavoro non è quindi finito, e dopo la probabile pausa di settembre un'altra stretta arriverà in ottobre o novembre. Anche perchè i margini per un ulteriore inasprimento monetario, da decidere in ottobre o novembre, sono garantiti dall'economia: Quest'anno il Pil è cresciuto sopra le attese, i consumi sono robusti e il settore immobiliare mostra segnali di ripresa, afferma Powell.
Appigli congiunturali che invece mancano all'eurozona, a un passo dalla recessione.
Ma Madame Bce tira dritto: l'obiettivo resta quello di riportare i prezzi al consumo al 2%, un imperativo tetragono che pare in contrasto con quella flessibilità nell'analisi e quella mente aperta richiamate durante il suo discorso. Particolarmente urticante a chi, come l'Italia, chiede da tempo alla Bce di cambiare rotta.
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