E siamo ancora all'attualità delle corporazioni. Nel 2023, non mollano la presa. E la politica, storicamente, fatica a comprendere che l'unica strada virtuosa per ostacolarne l'influenza sarebbe avviare la scelta strategica delle vere liberalizzazioni. Invece, niente. E questo determina forme di disservizio per la collettività.
Prendiamo la questione dei taxi. È di questi giorni una segnalazione dell'Antitrust inviata ai comuni di Milano, Napoli e Roma. Parole laconiche e dirette in merito alle «criticità riscontrate nell'erogazione dei servizio taxi a danno degli utenti, in termini di qualità ed efficienza del servizio reso». Nel testo prodotto dall'Autorità per la concorrenza si fa riferimento a «una strutturale inadeguatezza del numero delle licenze attive rispetto alla domanda del servizio taxi». Insomma: corporazione versus concorrenza. Il che dovrebbe suggerire drastici interventi dei decisori pubblici per ovviare all'irragionevole disservizio. Drastici e nella direzione di affermare l'avvedutezza di saggi principi liberali. È insensato che una fondamentale attività di pubblico rilievo debba essere presidiata da una corporazione che non ci vuole sentire. Indisponibile ad ascoltare qualsiasi proposta che ne mini il controllo. Purtroppo in Italia la mentalità monopolista e quindi di diretta emanazione della cultura statalista/clientelare si mantiene ben salda in sella. Con le conseguenze che conosciamo. D'altronde, mai mercati bloccati generano una migliore qualità del servizio.
La competizione soggetta alla presenza di poche ma rigorose regole è il lievito indispensabile affinché si affermi il valore della normalità: un'offerta di taxi congrua con la domanda. E con prezzi ragionevoli e non dettati da logiche di cartello. La materia è spinosa. Intanto il tassametro scotta. Se si vuole svoltare, non c'è alternativa alla buona pratica delle vere liberalizzazioni.
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