Il terziario è in ripresa. Ma l'inflazione fa paura per colpa delle liti Opec

L'indice Pmi di giugno ai massimi dal 2010 Il petrolio si impenna sopra quota 77 dollari

Il terziario è in ripresa. Ma l'inflazione fa paura per colpa delle liti Opec

I timori di inflazione, aggravati dalla situazione di stallo tra i Paesi Opec +, non spaventano Piazza Affari che chiude la seduta in rialzo dello 0,6%, meglio di Parigi e (+0,2%) e Francoforte (+0,49%), sostenuta dai dati in arrivo sul fronte macro.

A giugno, infatti, l'indice Ihs Markit Pmi, che anticipa le variazioni economiche sulla base di indagini condotte tra responsabili degli acquisti, si è impennato, registrando la più rapida crescita dell'attività economica da gennaio 2018, grazie al forte aumento della domanda conseguente alla riapertura e all'allentamento delle restrizioni. L'Ihs Markit Pmi del settore terziario è balzato dai 53,1 punti di maggio ai 56,7 di giugno. «Il risultato è che le previsioni di produzione dei prossimi dodici mesi del settore terziario si sono rafforzate con il miglior tasso di fiducia da gennaio 2010», si legge nel rapporto che parla espressamente di «rinascita del terziario» e di «incremento quasi record» del manifatturiero.

«Le pressioni inflazionistiche restano tuttavia un punto dolente considerando che a giugno le aziende italiane hanno indicato il più forte aumento dei costi in 15 anni», avverte Lewis Cooper, economista di Ihs Markit. Lo scenario è simile anche nell'Eurozona con il Pmi composito ai massimi degli ultimi 15 anni (a 59,5 punti). «Tutti i sondaggi suggeriscono che l'Europa si diriga verso l'estate in pieno boom. L'ondata di ottimismo da un lato mostra che ci siamo buttati alle spalle il peggio della pandemia e dall'altro spinge l'aspettativa delle imprese ai massimi da 21 anni», commenta Chris Williamson, capo economista di Ihs Markit secondo cui, tuttavia, «sono in aumento le difficoltà a far fronte all'incremento della domanda, in parte a causa delle carenze di personale, soprattutto nel settore manifatturiero, mentre nel settore dei servizi le aziende stanno aumentando i prezzi ai massimi da 20 anni e ciò crea forti pressioni inflazionistiche».

In questo scenario preoccupa l'impasse dell'Opec+ che ieri, ancora una volta dopo i vertici della scorsa settimana, ha fallito l'obiettivo di raggiungere un compromesso sulla produzione del greggio. La riunione dei Paesi membri e dei produttori indipendenti è stata quindi rinviata a data da destinarsi. Ma in assenza di un accordo, i prezzi dell'oro nero sono destinati schizzare verso alto, spingendo ulteriormente l'inflazione mondiale e mettendo a rischio la tenuta della crescita globale. Ieri il Brent era negoziato a 77,05 dollari (dai 51,5 di inizio anno), livelli che non vedeva dal 2018, mentre il Wti passava di mano a 76,18 dollari (da 48,4)

Nonostante la ripresa economica in corso, la produzione attuale di greggio è ancora lontana dai livelli pre-pandemici. E la spaccatura dell'Opec+, in particolare tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, nasce proprio dall'affrontare il mutato scenario. Riad punta a un prezzo del greggio più elevato per aumentare le entrate e realizzare investimenti. Per questo, insieme a Mosca, chiede di mantenere gli attuali livelli di produzione fino a dicembre 2022, rispetto all'attuale scadenza fissata ad aprile. Al contrario, Abu Dhabi desidera meno vincoli. Secondo il ministero dell'Energia e delle infrastrutture emiratino, il mercato mondiale del greggio «ha bisogno tangibile di un aumento della produzione» a partire da agosto e «senza condizioni».

Il fatto è, rileva Abu Dhabi, che «il Comito ministeriale dell'Opec+ ha proposto una sola opzione: l'aumento della produzione condizionato all'estensione dell'accordo attuale fino a dicembre 2022» e gli Emirati rivendicano una capacità produttiva più elevata rispetto agli accordi del 2018. Dietro le quinte si muove la Casa Bianca alla ricerca di una soluzione diplomatica.

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