Tlc, Italia nelle retrovie. Ecco perché Tim fa bene a vendere la sua rete

Il nostro mercato è quello che ha perso più fatturato. La cessione taglia il debito e dà chance per rinascere

Tlc, Italia nelle retrovie. Ecco perché Tim fa bene a vendere la sua rete
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Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla decisione di Tim di vendere la sua rete, vada a vedere che negli ultimi cinque anni l'Italia è stato il peggiore tra i principali mercati delle telecomunicazioni in Europa. Il fatturato si è contratto del 13,8% a 26,9 miliardi nel 2022, contro le variazioni positive di Germania (+3,7%) e Francia (+3,4%). Vanno male anche Regno Unito (-6,5%) e Spagna (-0,3%), ma non come noi. Questi sono i dati contenuti in un report dell'Area studi di Mediobanca, sulle maggiori società di telecomunicazioni mondiali tra il 2018 e il 2022, con uno sguardo sul primo semestre del 2023.

La zavorra deriva dall'elevata regolamentazione, ma anche e soprattutto dalla competizione impossibile portata non solo dalle compagnie low cost: basti pensare che nel nostro Paese esistono cinque operatori dotati di infrastruttura, oltre a numerosi operatori mobili virtuali che operano appoggiandosi alla rete altrui. Mentre negli Usa, per esempio, esistono solo tre operatori con infrastruttura su scala nazionale, per una popolazione che è oltre cinque volte e mezzo quella italiana. La fotografia plastica di questa situazione è la classifica dei ricavi, dove Tim - il leader italiano con 15,5 miliardi di ricavi nel 2022 - si posiziona solo al ventesimo posto a livello mondiale. Dieci anni fa il big italiano era 14esimo, oggi fattura meno di un settimo del leader europeo Deutsche Telekom e ha perso per strada quasi 4 miliardi di ricavi. Tim, molto legata al mercato italiano, è stata superata nel ranking mondiale dall'indiana Barti Airtel e, nel caso si concretizzasse la cessione della rete attraverso lo scorporo di Netco, scenderebbe al 22esimo posto.

Questo però non deve ingannare perché l'unico modo per invertire il declino pare proprio essere la decisione, sostenuta dall'ad di Tim Pietro Labriola, di separarsi dalla rete. Impossibile per Tim, infatti, tirarsi fuori dalla secche con un debito netto after lease (al netto dei contratti di locazione) a 21,2 miliardi, tassi d'interesse sul debito arrivati a pesare circa il 10% sui ricavi e al tempo stesso investire miliardi per ammodernare la rete. Lo scorporo di Netco porterà a ridurre il debito di oltre 14 miliardi, oltre a dare più libertà a livello normativo. Per non parlare dell'effetto upgrade delle agenzie di rating, con le varie Moody's, Fitch ed S&P che si preparano ad alzare i loro giudizi in caso di luce verde sull'affare. E questo vorrebbe dire ulteriore sollievo sul debito. La classifica mondiale delle tlc è guidata dall'americana Verizon Communication (128 miliardi di ricavi) seguita da China Mobile (127). Le società asiatiche guidano la crescita del settore e, nel primo semestre 2023, grazie al rafforzamento della quota di mercato nel 5G hanno volato gli operatori cinesi (+7,1%). E l'Europa? Al palo (+0,6%), mentre le tlc Usa sono in contrazione dell'1,3 per cento.

Volgendo lo sguardo allo spaccato italiano, l'ultimo quinquennio ha visto la crescita di Fastweb (+17,4%) tra i maggiori e all'avanzata

di diversi operatori minori: PosteMobile (+47%), Eolo (+72,8%), Open Fiber (+312,3%), Iliad (+636%). Mentre le big 3 (Tim, Vodafone e Wind Tre) hanno perso tutte nell'ordine del 20% di fatturato sempre negli ultimi 5 anni.

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