«I soldi di Unipol dovevano e devono servire per sostenere le imprese cooperative, per creare e garantire lavoro, invece sono serviti per fare altro e badare al potere, alle relazioni». Ci va giù duro Claudio Levorato, presidente (dal 1984) della bolognese Manutencoop, cooperativa di produzione e lavoro che conta più di 17mila dipendenti per quasi 950 milioni di ricavi nel 2018. Nell'ambiente Levorato è considerato quasi un eretico. Nel 2018 ha rotto con Legacoop, l'associazione di quelle che un tempo erano considerate le coop rosse «un'organizzazione politica, fatta di imprese con gruppi dirigenti che perseguono sempre più spesso i propri interessi e non quelli del movimento» - e ora è tornato a dare battaglia alla Unipol di Carlo Cimbri o, come dice lui scherzando, «a schivare i cingoli dei panzer di via Stalingrado». Lo aveva già fatto ai tempi della scalata a Bnl. Manutencoop possiede il 18,7% di Holmo, la holding delle cooperative che a sua volta detiene il 6,66% del gruppo guidato da Cimbri. Nell'assemblea di Holmo del 7 maggio scorso, la società di Levorato ha votato contro il bilancio 2018 insieme a Coopsette (socia con il 7,3%).
Il bilancio è passato lo stesso. Perché vi siete opposti?
«Agli atti abbiamo fatto mettere che il valore della partecipazione in Holmo è inferiore rispetto a quello rinvenibile dall'esame del bilancio. Holmo ha 265 milioni di debito, 165 milioni sono le esposizioni con Carige e con Morgan Stanley che a dicembre 2018 ha ereditato il credito in capo a Mps. Altri 100 milioni circa sono debiti verso le coop di consumo sotto forma di titoli obbligazionari. In tutto la partecipazione vale 200 milioni. Meno dei debiti. Ho quindi voluto porre il problema di una partecipazione che oggi vale circa un terzo del prezzo di libro. Anche per capire cosa si vuole fare il prossimo anno quando scadrà il patto di sindacato che possiede circa il 30% delle azioni di Unipol».
Cosa succederà nel 2020?
«Ci sarà la vera resa dei conti. Scadrà il patto di sindacato e, qualora il valore di Borsa dell'azione Unipol raggiungesse livelli tali da consentire ad Holmo l'integrale rimborso di tutto il proprio indebitamento, la stessa dovrà ripagare le banche. Ecco perché dico che sarebbe stato meglio vendere Unipol quando valeva 6 miliardi, mentre oggi ne vale la metà. Il capitale delle coop investito nel gruppo di Cimbri oggi è di 3,3 miliardi, per avere poco più del 40 per cento».
Perché siete rimasti soci?
«Il sistema di scatole cinesi ideato da Giovanni Consorte non ci permette di uscire. Entrammo perché credevamo al sogno che anche le coop potessero fare finanza per sostenere la propria crescita. Di quel sogno oggi non c'è più nulla».
Nel 2018 la controllata Manutencoop Facility Management è diventata Rekeep. Perché non c'è più la parola «coop»?
«Perché fossimo identificati come diversi, esterni a quel mondo.
Nel sistema delle coop comanda ancora un gruppo ristretto, parliamo di trenta al massimo cinquanta persone che durante gli anni della crisi hanno preferito lanciare scalate, entrare nei salotti della finanza e dell'editoria, penso al Corriere della Sera, piuttosto che mettere in sicurezza le acquisizioni fatte e sostenere le cooperative in difficoltà. Oggi si parla di un possibile intervento della Bper, di cui Unipol ha preso quasi il 20%, in Carige. Ci risiamo. Ma le spalle di Unipol e di Cimbri non sono solide, il mondo delle coop ha raschiato il fondo».
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