Avanti di questo passo, e Donald Trump finirà per prendersela, prima o poi, anche con l'Esercito della Salvezza. Di bersagli da colpire, in effetti, non ne sono rimasti molti al presidente americano. Dopo aver accusato di dumping commerciale mezzo mondo, fatto scattare la tagliola dei dazi soprattutto contro la Cina e definito Pechino e Mosca dei manipolatori di valute, il tycoon ha adesso trovato una nuova vittima per i suoi j'accuse cinguettanti: «Ci risiamo con l'Opec - ha twittato - . Con quantità record di petrolio dappertutto, anche con le navi a pieno carico in mare. I prezzi del petrolio sono artificialmente molto alti! Non va bene e non sarà accettato».
Timing perfetto, visto che ieri a Gedda si teneva il vertice tra i Paesi del Cartello e quelli esterni, Russia in primis, per concordare l'ennesima estensione dei tagli alla produzione di 1,8 milioni di barili al giorno, non ancora decisa al momento di andare in stampa. Il monito trumpiano non sembra però essere andato a buon fine: sono infatti rimaste sostanzialmente stabili le quotazioni di Wti (a 68,35 dollari) e Brent (a 73,99). Dure invece le reazioni al tweet. Se il segretario generale dell'Opec Mohammad Barkindo ha ricordato che l'intesa tra i Paesi produttori «ha salvato l'industria petrolifera da imminente collasso», il ministro saudita dell'Energia, Khaled al-Faleh, ha sottolineato che «la ridotta intensità energetica e l'alta produttività globale degli input energetici mi portano a pensare che c'è la capacità di assorbire l'aumento dei prezzi». Ancora più esplicito, il suo omologo russo, Alexander Novak: «I prezzi del petrolio sono determinati dal mercato. L'accordo ha rimesso in piedi l'industria del Texas».
Da parte dei maggiori player della scena petrolifera globale non vi è alcun interesse a cambiare una strategia che ha contribuito a riportare sopra i 70 dollari, dai 29 del gennaio 2016, i prezzi del barile. La Russia sta assaporando il suo nuovo ruolo di grande intermediario del potere in Medio Oriente ed è, all'interno del fronte alleato, quella che ricava maggiori benefici economici dall'accordo. Quanto a Ryad, alle prese con un deficit devastante, le attuali quotazioni portano ossigeno finanziario e sono un toccasana per la futura Ipo di Aramco, da cui i sauditi contano di incassare almeno 100 miliardi di dollari mettendo sul mercato il 5%.
Nel novembre scorso Trump aveva suggerito all'Arabia di quotare il colosso oil a Wall Street: dal tono del tweet anti-Opec, sembra che The Donald non sia stato tanto convincente nell'incontro di un mese fa a Washington con l'erede al trono saudita, Mohammed bin Salman.
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