Gli Stati Uniti sono pronti a spezzettare Google per porre fine al suo monopolio nel settore delle ricerche online. Il Dipartimento di Giustizia statunitense ha presentato le sue proposte di rimedi per affrontare le preoccupazioni antitrust nell'ambito dell'attività di ricerca di Google.
A far scalpore è la concreta possibilità che Big G venga obbligata a vendere parti del suo impero. Una mossa potenzialmente di portata storica contro una delle più grandi aziende tecnologiche del mondo dopo anni in cui l'antitrust Usa aveva chiuso più di un occhio davanti allo strapotere dilagante dei colossi tech. I rimedi proposti dal Dipartimento di Giustizia arrivano a seguito della storica vittoria ad agosto dei procuratori federali, quando un giudice ha stabilito che Google ha violato la legge antitrust statunitense, etichettando l'azienda come monopolista.
Nel concreto, il Dipartimento di Giustizia sta valutando soluzioni comportamentali e «strutturali» in modo da impedire al colosso di Mountain View di utilizzare prodotti come Chrome, l'App Store Play e il sistema operativo Android per trarre vantaggio dalla ricerca Google e dai prodotti e dalle funzionalità correlate alla ricerca Google rispetto ai concorrenti o ai nuovi entranti. Il termine strutturale è stato interpretato da molti osservatori come preambolo di un possibile obbligo per Google di cedere alcune sue attività. Indiziati numero uno sono il browser Chrome e il sistema operativo Android.
Nel ventaglio di possibili opzioni che il giudice Amit Mehta dovrà considerare figurano anche l'eventuale obbligo per Google a condividere i dati di ricerca degli utenti con i rivali e limitare la sua capacità di utilizzare i risultati di ricerca per addestrare nuovi modelli e prodotti di intelligenza artificiale generativa. Il documento di 32 pagine depositato dal Dipartimento di Giustizia permette al processo di avanzare alla seconda fase, in cui il giudice Mehta determinerà le sanzioni da imporre a Google, con udienza fissata ad aprile del prossimo anno e pronunciamento finale entro agosto 2025.
Non si è fatta attendere la dura replica di Google che ha criticato la denuncia del Dipartimento di Giustizia definendola «radicale» e affermando che si rischiano «significative conseguenze indesiderate per i consumatori, le aziende e la competitività americana». Il Dipartimento di Giustizia presenterà le sue proposte definitive entro il 20 novembre e Google ha tempo fino al 20 dicembre per proporre i propri rimedi.
A Wall Street il titolo Alphabet, la holding a cui fa capo Google, è arrivato a cedere oltre il 2% con gli analisti che si interrogano sui possibili contraccolpi per il colosso di Mountain View. I rimedi proposti colpiscono l'impero internet del gruppo guidato da Sundar Pichai intaccandone potenzialmente i ricavi e dando ai suoi rivali più spazio per crescere: DuckDuckGo e Microsoft Bing tra i motori di ricerca, nonché Meta e Amazon nel campo dell'AI.
Le richieste legate all'intelligenza artificiale potrebbero compromettere l'attività di Google, che è già sotto pressione per l'avanzata di OpenAI. «L'ultima cosa di cui Google ha bisogno in questo momento nella più ampia battaglia sull'intelligenza artificiale è dover combattere con una mano legata dietro la schiena dalle autorità di regolamentazione», ha sottolineato Mark Shmulik di Bernstein.
Di certo, la disputa legale si preannuncia lunga. Google, infatti, darà battaglia e ha già annunciato che presenterà ricorso fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti, il che potrebbe comportare anni prima della chiusura del caso.
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