Antonello Mosca
Cinquant'anni, imprenditore, Daniele di Montezemolo è amministratore delegato della società che porta il suo nome e che si occupa di Licensing e Brand extension per aziende italiane come Pirelli, Riva, Ferrero e internazionali come BBC, Lucas Film, Hasbro. Ma il suo nome è noto nel campo della moda per Twin-D.d.M., marchio che si contraddistingue per aver unito gusto e pragmatismo con la creazione della cravatta doppia e dei giacconi dalle dimensioni molto caratterizzate.
Quale occasione migliore per parlare del suo modo di abitare dato che Lei è fratello di Luca che ha da poco creato «il polo del bello» nell'arredamento?
«La casa è una delle cose che mi appassiona di più in assoluto - si affretta a precisare il protagonista - e nonostante il mio eterno peregrinare prima del matrimonio tra New York, Parigi e Londra, ho sempre cercato di rifiutare gli alberghi, luoghi che detesto, e di organizzare, il prima possibile, una casa dove rifugiarmi. Ma oltre che rifugio questa è una vera e propria tana, che cela e contiene tutte le cose che mi sono più care. Un luogo totalmente mio, dove la sera, rientrando dal lavoro, lascio al di fuori tutte le cose che non desidero. Ma questa porta che si chiude è quella sempre aperta agli amici, miei, di mia moglie e di mia figlia. E non sono pochi, ma tutti più che graditi».
La sua casa rispecchia il suo carattere?
«Se non l'amassi veramente forse le risponderei con qualche forse, ma invece credo sia una vera e propria chiave di lettura, molto chiara e sincera, della mia personalità».
Cosa l'ha guidata nell'arredarla?
«Credo sia obbligatorio avere un tema preciso e di riferimento, e penso anche sia legato al tipo di casa e al luogo in cui si trova. Debbo però confessare che avendo una moglie architetto non ho potuto far altro che soccombere. Dissapori nacquero quando allestimmo la prima casa insieme, che si affievolirono in occasione della seconda per scomparire nella terza. Avevo capito che non c'era nulla da dire e nulla da fare: lasciare a lei la completa operazione, azzardando soltanto qualche velato suggerimento. Però sinceramente debbo altrettanto dire che il risultato mi soddisfa pienamente».
Considerando il suo lavoro, è una casa di rappresentanza?
«Non credo la si possa definire in questo modo. Direi piuttosto che è una casa fatta per far vivere bene la famiglia, di giorno e di notte, ma al tempo stesso gode di spazi dove ricevere con agio e comodità molti amici. Non avrei mai accettato una casa arredata per soddisfare le esigenze di altri o peggio ancora "per apparire". Credo sia come un abito su misura, per noi».
C'è uno stile che ama di più?
«Se devo racchiudere il tutto in una parola direi "classico" ma senza alcuna banalità, perché ho la grande fortuna di avere mobili di famiglia cui sono particolarmente legato, ma sono miscelati con opere di autori e con oggetti contemporanei che mi appassionano. Non ho mai dato importanza al valore materiale di tutti questi componenti, ma a quello morale che gli attribuisco io stesso, ed è questo fatto che mi rende felice». Mi sembra che la sua camera da letto abbia un particolare importante.
«È molto comoda, con un letto disegnato da mia moglie, confesso con vera eleganza, che ci ha seguito in tutte le case che abbiamo cambiato».
È una casa molto colorata.
«Guardi, in una città come Milano, che la si può definire in bianco e nero, il colore negli interni, sui muri, sui tessuti, nei tappeti e in tanti dettagli, mi sembra quasi un obbligo».
Un suo pensiero, anche perché ora c'è in famiglia chi si occupa di arredo in grande stile, sui negozi che lo mettono in mostra?
«Penso sempre alla difficoltà di inventare cose nuove da parte degli architetti e designer proprio ora che questo mondo insegue la frequenza creativa della moda, così ravvicinata e incalzante».
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