Erba, il racconto del carabiniere «Olindo mi disse: sono stato io»

Il maresciallo fu il primo a raccogliere la confessione dell’ex netturbino: «Gli chiesi se voleva liberarsi di un peso e così parlò»

nostro inviato a Como

E Olindo disse: «Sì sono stato io». Dieci gennaio 2007, carcere del Bassone. Olindo Romano porge le mani ai due carabinieri, venuti a prendergli nuove impronte digitali, chieste dai Ris per approfondire i riscontri. «Si scambiano due parole di circostanza - ricorda in aula il maresciallo Corrado Cappelletti - a un certo punto, visto il suo stato d'animo, io e il mio collega ci sentiamo di chiedergli se non volesse liberarsi un peso dalla coscienza.» Una domanda, una semplice domanda cui Olindo si appiglia come un naufrago ad un salvagente: «Sono stato io, sì sono stato io». I due sottufficiali dell'Arma sanno bene che non possono raccogliere qualcosa che somigli a una confessione e chiedono quindi all'ex netturbino di Erba se vuol parlare con un magistrato. «Sì, lo voglio, chiamatelo» risponde ancora Olindo. Il resto è storia nota. È la storia di una confessione, resa al pm Massimo Astori, e racchiusa in un faldone di 400 pagine. Certo, anche la successiva quanto sconcertante ritrattazione della coppia, è cosa nota. Su quella confessione i difensori daranno quasi certamente battaglia.
Nell'attesa del magistrato, Olindo rivela ai sottufficiali dell'Arma la dinamica delle aggressioni e parla di una spranga e due coltelli usati come armi per compiere i delitti in casa di Raffaella Castagna e nella palazzina di via Diaz la sera dell'11 dicembre 2006. Gli altri tasselli dell'agghiacciante mosaico prendono forma e definizione, mentre Rosa e Olindo, meno propensi a regalare smancerie ai fotografi, osservano e ascoltano con attenzione dalla loro gabbia matrimoniale. C'è quella macchia di sangue. Piccola, certo, ma per l'accusa pesante come un macigno. Rintracciata e rilevata nell'auto dei coniugi Romano. Nonostante qualcuno l'avesse lavata. Rilevata grazie al Luminol, ormai popolare sull'onda emotiva di fiction e delitti vari. È un altro carabiniere, Carlo Fadda, cacciatore di tracce e indizi che spiega alla Corte come sono stati effettuati i rilievi nell’auto. Ed ecco che, mentre il militare parla, i punti dove il Luminol dopo la vaporizzazione è diventato fluorescente, scorrono sui monitor cerchiati in rosso: il battitacco, la levetta che serve per aggiustare regolare il sedile, la portiera
Osservano, ascoltano Olindo e Rosa. Imperturbabili anche quando una coppia di vigili urbani ricostruisce l'intervento per sedare una lite tra loro e Raffaella, la mattina del 3 aprile del 2005 «quando col mio collega - racconta Lorena Beretta - dovemmo trattenere Olindo che stava per scagliarsi sul papà di Raffaella che entrava nella corte chiamato dalla figlia». E quando altri vigili raccontano l'intervento alla stazione di Azzo, dove «una Raffaella terrorizzata aveva chiesto il loro aiuto perché si era accorta di essere pedinata dai Romano». «Non vorrete mica difendere quella là», sbottò Rosa quando i vigili li fermarono per chiedere spiegazioni. E poi le parolacce di Rosa contro Emma Carangelo inquilina per pochi mesi al pian terreno solo perché «tenevo aperta la finestra del bagno» e la «particolare aggressività» di Olindo e Rosa evidenziata dall'avvocato Claudio Ghislanzoni che seguì tre procedimenti penali fra Raffaella Castagna e i suoi vicini. «Lei riempì la casa di tappeti e ci ripeteva - ricordano gli amici Simone, Consuela, Antonello - non fate rumore, vi prego non spostate le sedie». Ma erano sempre e comunque liti.

Come quella al compleanno di Raffaella, quando un vaso di fiori venne scaraventato dai Romano sul suo terrazzino e per poco non colpì gli invitati. E Olindo troncò la festa abbassando la leva dei contatori della luce. Niente più musica. Solo il buio, d'improvviso. Come accadde la sera della strage. Quando qualcuno manomise gli stessi contatori.

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