Come sono gli italiani? E chi lo sa? Ci hanno provato in tanti a rispondere da centocinquantanni in qua e nessuno ci è riuscito. Ritenta limproba impresa la Casa del Cinema in una rassegna (curata da Marcello Veneziani) collaterale al Festival di Roma che si apre a fine mese. Saranno «cinque giornate dedicate allidentità italiana come è stata vista e raccontata dal cinema», spiega un lapidario comunicato. A farla ancora più breve, verranno proiettate cinque copie di film contrapposti, da cui dovrebbe alla fine risultare il carattere degli italiani. Dal rapporto con la famiglia alla fede, dalla divisioni geografiche allimmigrazione. «Un viaggio realista e surreale nellidentità italiana al cinema», dove quel «surreale», fa già capire che è sì una cosa seria, ma non da prendere troppo sul serio. «Una poligonia nazionale fino a comporre un vero e proprio Decamerone italiano», si legge. Sperando che Boccaccio, e perché no, Pasolini siano daccordo. Totò sarebbe più perplesso. I film, bisogna ammetterlo, sono stati scelti con abilità, miscelata a una certa malizia, ben contrapponendo le opposte fazioni. Si parte con due capolavori della commedia allitaliana: da un lato La grande guerra di Monicelli, in rappresentanza degli «Italiani»; dallaltro I mostri di Risi, a tenere alta la bandiera degli «Italioti». Là ci sono due sfaticati, Gassman e Sordi, che sul fronte orientale del 1917, diventano eroi quasi involontari; qui ancora Gassman e Tognazzi, insuperabili nel mettere alla berlina con perfido cinismo bugiardi e maneggioni, cornuti e cornificatori, smascherando il mascalzone nascosto in ciascuno di noi. Volendo, si potrebbe dare una mano di fresco alle due squadre, chiedendo scusa per levidente calo di qualità, chiamando in causa i Vanzina (Ex - Amici come prima) e Salemme (Baciato dalla fortuna), col rischio, più che concreto, di confondere le due, già gelatinose, categorie.
Al secondo giro, continua la sfida tra Padani e Terroni. Cè il dimenticatissimo Il posto di Olmi (anno 1961), girato a Milano, contro il coetaneo I basilischi (1963) della Wertmüller, ambientato in un paesino sudista. Come umorismo stravince il secondo, per poesia il primo. Quindi match pari. Oggi basterebbe Benvenuti al Sud, perfetto, oltre che spassoso, alfiere sia di polentoni sia di mozzarellieri.
Chi non tiene famiglia? Bastava un tuffo a Cinecittà per tirar su decine di titoli. Gli ideatori sono stati sul classico (con tendenza al pesante). Ecco dunque Tre fratelli di Francesco Rosi che racconta, con flemma, un triplice ritorno a casa (Noiret, Vittorio Mezzogiorno, Placido) per lultimo incontro col padre (Charles Vanel) morente. Il papà di Giovanna, di Pupi Avati, ci mostra un altro padre (Silvio Orlando), pronto a umiliarsi per salvare la figlia assassina Alba Rohrwacher. Potevano starci tranquillamente anche il recente Happy Family di Salvatores e ancora meglio lo stupendo La famiglia di Scola. Cartellino giallo per la dimenticanza.
Nel duello tra Devoti e Clericali, a guardar bene cè abbondante spazio per la provocazione. Il Francesco, e non San Francesco, di Liliana Cavani è più un hippy che un santo, anche perché a incarnarlo è stato reclutato Mickey Rourke, che si spoglia manco fosse ancora sul set di 9 settimane e 1/2. Quanto a Nellanno del Signore del mangiapreti Luigi Magni, lanticlericalismo sfiora (eufemismo) la caricatura. Aggiornamenti in tema? Basta e avanza Corpo celeste della sorella darte Alice Rohrwacher, un viaggio nel bigottismo esasperato del profondo Sud. Ecco infine il reparto più scottante: Emigrati contro Immigrati.
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