Agguato al console italiano spari contro l'auto a Bengasi

Agguato al console italiano spari contro l'auto a Bengasi

Stavolta nel mirino c'era Guido De Sanctis, il diplomatico italiano che dall'aprile del 2011 guida la missione diplomatica nel capoluogo della Cirenaica. Un capoluogo dove, dopo la stagione di attentati culminata con l'uccisione dell'ambasciatore statunitense J. Christopher Stevens e di tre altri americani, la caccia all'occidentale sembra diventata uno degli sport più praticati. Ieri sera è toccato al nostro diplomatico bersagliato da diversi colpi di arma da fuoco mentre si muoveva a bordo della macchina di servizio. Guido De Sanctis, un veterano della Libia ritornato nel Paese, dove aveva già prestato servizio, mentre infuriava la guerra civile non si farà certo intimidire da questo. «Sto bene» - ha dichiarato ieri sera. Ma l'attentato poteva avere conseguenze ben peggiori. Stando a quanto riferiscono anche fonti de Il Giornale a Bengasi i colpi sparati contro l'auto di De Sanctis sono stati parecchi e sono andati quasi tutti a segno. A salvare il diplomatico sarebbe stata la blindatura del mezzo di servizio. Il console conosce bene la difficile situazione in cui opera. Nelle ore successive all'uccisione di Stevens è stato uno dei primi ad accorrere tra i resti del consolato americano distrutto dalle fiamme. Ed è stato lui a custodire il diario in cui l'ambasciatore aveva annotato tutte le fasi della missione precedenti la propria uccisione. Gli spari risuonati a poche ore dall'intervento francese nel Chad e dal fallito blitz in Somalia sono un preciso avvertimento. Un segnale di come le primavere arabe non hanno cancellato il pericolo del terrorismo al qaidista, ma hanno finito per trasformarlo in una componente di alcuni degli stati trasformati da quelle rivoluzioni. La Libia è uno di questi. I proiettili sparati contro l'automobile del nostro console sono con tutta probabilità un segnale per far capire ai pochi occidentali presenti che gli islamisti libici sono solidali con quelli del Mali e della Somalia e sono pronti a mettere a segno attentati contro chiunque rappresenti l'Europa o gli Stati Uniti. A Bengasi le milizie islamiste più radicali del resto non si muovono solo in perfetta sintonia con il resto della galassia jihadista, ma possono contare sulla protezione di alcuni apparati dello Stato. In città tutti sanno chi sono i comandanti e i miliziani che l'11 settembre scorso han pianificato e messo a segno l'assalto al consolato americano, ma nessuno ha fin qui osato muovere un dito per fermarli. Ahmed Abu Khattala, il comandante fondamentalista identificato come il principale responsabile dell'uccisione dell'ambasciatore Stevens, resta alla macchia, ma continua a muoversi indisturbato nel centro di Bengasi e dintorni.

Del resto la culla della rivoluzione libica è stata anche la culla di quella cellula di Al Qaida che dalla fine degli anni 90 alla metà del Duemila ha operato contro il regime Gheddafi. Sgominata dal rais è risorta a nuova vita dopo la vittoria della cosiddetta Primavera Araba.

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