Aleppo, la guerra dell'acqua

Un religioso racconta a ilGiornale.it i piani ribelli per assetare il popolo assediato

Aleppo, la guerra dell'acqua

È una guerra crudele e spietata. È la guerra dell'acqua. È scoppiata ai primi di maggio e da allora si riaccende a periodi alterni. È l'ultima inutile e folle sofferenza imposta ai civili dai ribelli jihadisti che assediano Aleppo. "Ai primi di giugno l'acqua è incominciata a mancare di nuovo. Un mese fa, dopo lunghe trattative, i ribelli avevano accettato di riaprire tubature e stazioni di pompaggio, ma adesso è rincominciata. L'acqua manca già da otto giorni. E non sappiamo quanto ritornerà", racconta in questo colloquio telefonico con ilGiornale.it padre George, un religioso cristiano rimasto in questa città martoriata, abitata - un tempo - da quasi due milioni e mezzo di siriani.

L'assedio ribelle iniziato nell'agosto del 2012 ha trasformato Aleppo, un tempo il principale centro commerciale della Siria, nell'anticamera dell'inferno. Da allora un milione di aleppini ha dovuto dire addio alle proprie case minacciate da guerra e carestia. La periferia orientale, roccaforte delle milizie al qaidiste di Al Nusra, si è trasformata in una distesa macerie bersagliate dai bombardamenti dell'aviazione governativa. Sui quartieri occidentali cadono invece i colpi di mortaio di un'opposizione armata decisa a punire i civili rimasti nelle aree fedeli a Bashar Assad. Ai primi di maggio i comandanti di Al Nusra - frustati per le sconfitte subite ad Homs e in altre zone del paese - hanno progettato un'altra, più crudele, forma di punizione collettiva. Il piano del gruppo jihadista prevedeva il blocco selettivo di alcune stazioni di pompaggio in modo da mantenere il flusso idrico nei quartieri occupati dagli insorti e ridurre alla sete il versante governativo. Il progetto non teneva conto delle complesse regole dei vasi comunicanti che regolano la distribuzione idrica in un vasto centro urbano e così l'intera Aleppo, quartieri ribelli compresi, si è ritrovata a secco. Ma il problema maggiore, come spiega padre George, è il rischio di gravi epidemie. "Aleppo è una città antica e i vecchi pozzi garantiscono l'accesso alle faglie idriche. Da più di un anno la nostra comunità ha avviato un programma per la riapertura degli antichi pozzi dentro alle chiese e nelle moschee. Ma quell'acqua non sempre è potabile di solito viene usata per lavarsi e ripulire i vestiti. Quando un mese fa i ribelli hanno tagliato l'acqua potabile molti hanno incominciato a dissetarsi con l'acqua dei pozzi. E con quella stessa acqua stiamo sopravvivendo in questi ultimi otto giorni. Quest'acqua, però, non è potabile. Andrebbe bollita e purificata, ma non sappiamo se tutto lo stiano facendo. Il rischio è la diffusione di contagi ed epidemie".

Il blocco delle forniture, verificatosi alla vigilia delle elezioni presidenziali organizzate nei quartieri sotto controllo governativo, è, fa capire padre George - tutt'altro che casuale. "La sospensione delle forniture - racconta a ilGiornale.it - è stata causata anche stavolta dai ribelli che hanno fatto esplodere un ordigno in un tunnel vicino dalla stazione principale della città dove affluisce l'acqua dall'Eufrate". Come già a maggio anche stavolta la ripresa delle forniture dipende dalle delicate trattative intraprese dalla Mezzaluna Rossa con i capi ribelli.

Spetterà ai delegati dell'organizzazione islamica, l'equivalente della nostra Croce Rossa, ristabilire il delicato equilibrio concordato nel corso di questi 22 mesi di assedio durante i quali il governo ha accettato di fornire carburante alle aree ribelli per mantenere in funzione le pompe che garantiscono le forniture idriche a tutta la popolazione civile.

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