America Latina al bivio Bolivaristi in crisi ora tocca ai moderati

Chavez è morto e l'erede di Castro non è un figlio della rivoluzione: emergono leader meno oltranzisti. E se il nuovo Papa venisse da qui...

America Latina al bivio Bolivaristi in crisi ora tocca ai moderati

Se, negli anni Settanta e Ottanta, l'America latina veniva considerata la patria delle dittature militari, e nel ventennio successivo quella della rinascita della democrazia, oggi è molto più difficilmente classificabile. In alcuni Paesi - in particolare l'Argentina, sempre più protezionista e in perenne conflitto con la comunità internazionale - la democrazia si è rivelata piuttosto effimera, inquinata dalle tendenze autoritarie e dai soprusi dei presidenti eletti. In altri, tuttora affascinati dall'esperienza cubana e di cui il defunto Hugo Chavez aspirava alla guida, si sono affermati regimi socialisteggianti, ostili agli Usa e all'iniziativa privata, che hanno sì migliorato le sorti della parte più miserabile della popolazione, ma a rischio di mandare l'economia in tilt. Altri ancora, in particolare Cile, Perù, Colombia e Messico, che di recente hanno fondato l'Unione Pacifica, hanno sviluppato con successo l'economia di mercato (il Perù, in particolare, può vantare da 8 anni tassi di crescita superiore al 7%) e si sono mantenuti - complessivamente - nell'orbita di Washington. Ci sono poi casi singolari, come quello dell'Uruguay, dove un ex tupamaro a suo tempo condannato per diversi omicidi è diventato presidente con grande allarme della classe media, ma si è rivelato un leader equilibrato e attento alle esigenze dell'economia. Altrettanto curiosa è la situazione del Paraguay, il cui Parlamento ha defenestrato, con motivazioni pretestuose, il presidente Lugo, un ex vescovo eletto dalla sinistra, e per rappresaglia è stato sospeso da tutte le organizzazioni regionali.

Quanto al Brasile, di gran lunga il più importante e popoloso Paese del continente, parte del nuovo raggruppamento di Paesi emergenti denominato Brics (per Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e aspirante a un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu, fa storia a sé: negli otto anni della presidenza di Lula, un ex sindacalista di scuola marxista gradualmente convertitosi a una economia mista che lascia larghi margini ai privati, ha conosciuto uno straordinario boom e una importante trasformazione sociale. La sua erede designata, l'ex guerrigliera Dilma Roussef, ha cercato di proseguire la sua opera, ma con minore abilità e fortuna, tanto che il tasso di sviluppo è sceso a percentuali europee, gli investimenti stranieri stanno rallentando e nelle elezioni presidenziali dell'anno venturo si potrebbe anche assistere a un ribaltone.

Con la scomparsa di Chavez, e la decisione di Raul Castro di passare la mano, alla fine del suo mandato, al cinquantaduenne Miguel Diaz Canel, uomo dell'apparato comunista ma nato dopo la rivoluzione del '58 e più aperto ai cambiamenti, molti equilibri potrebbero cambiare. Se anche il vice del Caudillo rosso, Nicolas Maduro, dovesse vincere le prossime elezioni, difficilmente sarà in grado di mantenere le generose elargizioni di petrolio che tenevano legate al Venezuela gli altri Paesi «antimperialisti». Se poi prevalesse il suo antagonista «borghese» Henrique Capriles, il Venezuela si riavvicinerebbe immediatamente agli Stati Uniti, cui vende ancora buona parte del suo petrolio e lascerebbe orfani gli alleati di Chavez, l'ecuadoregno Correa, il boliviano Morales, il nicaraguense Ortega, pesci relativamente piccoli difficilmente in grado di proseguire da soli la rivoluzione bolivariana. Per Obama, che ha fatto del suo meglio per migliorare i pessimi rapporti che George Bush aveva con l'America latina, sarebbe un notevole successo, che forse aprirebbe la strada anche a un vecchio sogno di Washington: la creazione di una grande zona di libero scambio dall'Alaska alla Terra del Fuoco, che prendesse il posto delle varie - e spesso malfunzionanti - associazioni regionali come il Mercosur.

Nel complesso l'America latina ha fatto, grazie anche alle sue imponenti risorse

minerarie (in cui hanno fatto grandi investimenti i cinesi), moltissimi passi avanti anche sul piano sociale. Se poi, come milioni sognano, vincesse anche la corsa al Papato, sarebbe un salto ulteriore di grande portata.

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