"Caro Letta grazie per questa decisione coraggiosa, ma adesso temo che il regime di Nazarbayev reagirà mandando mia moglie Alma in prigione e la mia bambina Alua all’orfanotrofio". Dalle colonne della Stampa, il dissidente kazako Mukhtar Ablyazov lancia un appello al premier Enrico Letta dopo che il governo italiano ha revocato il procedimento d’espulsione dei suoi familiari. Espulsione che, però, è già stata eseguita da un gruppo di agenti italiani. Moglie e figlia, sottolinea l’oppositore kazako, "ora si trovano in una situazione di grave pericolo, detenute dal regime di Nazarbayev che le tiene in ostaggio al fine di usarle contro di me".
Il caso Ablyazov viene palleggiato tra la questura di Roma che è intervenuta con Digos e Ufficio Immigrazione ed il Dipartimento di pubblica sicurezza, che potrebbe aver dato l’ok all’espulsione. Il governo ha fatto sapere che i ministri non sono stati informati della vicenda che sarebbe stata gestita esclusivamente dalla polizia. Non a caso un’indagine interna per individuare responsabilità è stata affidata al capo Alessandro Pansa che all'epoca non era in carica. C'è dunque qualcuno che dovrà rispondere della mancata informazione al governo sul caso, ma non sulla regolarità formale dell’iter seguito, che è stata accertata dalla magistratura. Tuttavia, ripercorrendo le tappe della vicenda, ci si imbatte fin dall’inizio in stranezze ed incongruenze. Alma Shalabayeva è la moglie di Ablyazov, fuggito dal suo Paese nel 2009 perché inviso al presidente Nursultan Nazarbayev e residente a Londra dove ha ottenuto asilo politico. Sull’uomo, ex banchiere, pende una mandato di cattura internazionale emesso dal Kazakistan per una presunta sottrazione di 4,6 milioni di euro dalla banca Bta di cui è stato presidente. Si arriva al maggio scorso. La donna e la figlia di Alua, di sei anni, vivono da circa otto mesi a Roma in una villetta del quartiere Casal Palocco. A fine maggio Ablyazov sarebbe stato avvistato e fotografato nell’abitazione e l’ambasciata kazaka in Italia avrebbe chiesto alle autorità italiane di arrestarlo ed estradarlo. Secondo i legali della famiglia kazaka, una società di sicurezza italiana è stata incaricata da una israeliana di sorvegliare la villa prima dell’irruzione della polizia. Avvenuta, con grande ed inusuale dispiegamento di forze la notte del 29 maggio. Un interrogativo che sorge a questo punto è se sia possibile che un’operazione del genere possa essere stata messa in piedi tenendo all’oscuro la diplomazia e la politica. Ma dell’uomo nella villetta non c’è traccia. Ci sono invece la moglie Alma e la figlia. E qui emergono altre incongruenze. La donna, infatti, secondo la polizia, viene trovata in possesso di un passaporto diplomatico emesso dalla Repubblica Centrafricana che presentava segni di contraffazione ed era sprovvisto di visto di ingresso in area Schengen. È stata quindi deferita all’autorità giudiziaria e proposta, in quanto clandestina, per l’espulsione al prefetto di Roma. Ma successivi controlli hanno mostrato che il documento era autentico. Non c’è stato però tempo di dimostrarlo. Shalabayeva, infatti, è stata subito inviata al Cie di Ponte Galeria e la procura di Roma, sulla base dell’asserita falsità del passaporto, ha convalidato l’espulsione. Che è avvenuta in tempi record. Il 31 maggio alle 17.30 madre e figlia sono state messe su un aereo affittato in Austria dall’ambasciata kazaka che è volato verso Astana. Anche in questo caso, si tratta di una procedura del tutto inusuale, in quanto i rimpatri avvengono di norma su aerei di linea e con una scorta di poliziotti al seguito. C’è poi, infine, un altro punto. Fonti del Viminale fanno notare che la Shalabayeva non aveva presentato richiesta d’asilo in Italia. A quanto si apprende, infatti, la donna era titolare di un permesso di soggiorno temporaneo in Inghilterra. Se la donna avesse chiesto asilo in Italia non avrebbe più potuto raggiungere il marito. Lo ha fatto solo dopo essere stata espulsa, nel ricorso avanzato dai suoi legali che hanno fornito una corposa documentazione. Documenti sulla base dei quali l’avvocatura di Stato ha poi stabilito la revoca dell’espulsione.
Adesso Shalabayeva rischia una condanna a due anni perché familiare di un dissidente, mentre la bambina potrebbe finire in un orfanotrofio. "L’importante è che la situazione si risolva prima che venga processata. Ecco perché serve ancora l’aiuto dei media e dell’opinione pubblica che hanno consentito di raggiungere questo risultato straordinario", ha spiegato Riccardo Olivo, uno dei legali della donna, in una intervista al Corriere della Sera. "L’indicazione data dal nostro governo di consentire ad Alma di tornare qui anche per fornire spiegazioni sulla vicenda mi sembra opportuna", ha continuato Olivo facendo, però, notare, che ogni passo è comunque rimesso alla buona volontà del governo kazako. Secondo l'avvocato Vincenzo Cerulli Irelli, sentito da Repubblica, Shalabayeva e Alua "non hanno subito maltrattamenti", ma si trovano "agli arresti domiciliari in casa del padre di lei".
Ma il governo di Astana precisa precisa all’Ansa che la moglie del dissidente kazako "non è in prigione o agli arresti domiciliari" ma ha obbligo di residenza ad Almaty perché "sotto inchiesta sul rilascio del passaporto per il marito e i famigliari in cambio tangenti".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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