Abbiamo esaurito le esclamazioni di stupore. Quello che (a quanto sembra) è successo il 5 luglio, quando notizie non confermate ci dicono che Israele abbia attaccato un deposito siriano di armi, trascende le sorprese cui ormai il Medio Oriente ci ha abituato. Non solo Israele avrebbe eliminato a Latakia, sulla costa siriana, missili Yakhont di fabbricazione russa che, se in mano di Assad o degli Hezbollah, cambierebbero l'equilibrio strategico della zona. Il fatto è che, secondo il Sunday Times, gli aerei israeliani, e qui possiamo spalancare la bocca, sarebbero decollati da una base turca.
Questo significherebbe che l'inimicizia della Turchia verso la Siria e anche il suo distacco dalla Russia, sono più forti dello scontro micidiale con Israele di cui Erdogan ha fatto una bandiera. La Turchia nega e Netanyahu, come sempre gli israeliani, non parla: questo non cambia l'impressione che un Medio Oriente davvero nuovo e contrario a ogni aspettativa stia emergendo con la guerra siriana e la rivoluzione egiziana. La mappa oggi ci mostra un Medio Oriente fatto di vincitori e vinti tutti nuovi, e persino la consueta divisione tra sunniti e sciiti non funziona più. La danza è aperta.
L'ex presidente egiziano Morsi tentò un'alleanza inusitata con l'Iran, visitò Teheran nell'agosto 2012, e Ahmadinejad lo ricambiò nel febbraio successivo, la prima volta dal 1979, anno della pace con Israele e della rivoluzione iraniana. Ma la grande avventura era destinata a una rapida conclusione. L'Iran ha condannato la cacciata di Morsi, e ha suggerito che sia frutto di «mani straniere»; ma il nuovo Egitto gli ha espresso «estremo disappunto.. che dimostrano la mancanza di conoscenza precisa» degli eventi. Eguali rimbrotti ha ricevuto la Turchia per la disapprovazione espressa dal governo per la soppressione del potere costituito. Altra alleanza svanita, dopo che Erdogan si è fatto sostenitore aperto dei Fratelli Musulmani.
I Sauditi, dopo un periodo di gelo, riformano il famoso «blocco pragmatico»: il Golfo, con l'Egitto, torna a far fronte, spiega Mazel, contro l'Iran. I sauditi adesso sono i maggiori sponsor. La settimana scorsa hanno concesso al Paese del Nilo un finanziamento di 8 miliardi di dollari. Risvegliati alla consueta lotta del loro reame per l'egemonia del mondo arabo, sono certo contenti della grande novità: la messa fuori giuoco del Qatar, che ha sostenuto con grandi somme e con il trapano ideologico di Al Jazeera tutte le rivoluzioni di cui i Fratelli Musulmani hanno portato la bandiera. Il Qatar è stato in questi anni rivoluzionari il bambino prodigio, lo spirito moderno dell'islamismo smart. Ha travestito l'islamismo da rivoluzione democratica. Un genio dei media a galla su un mare di petrolio. L'Arabia Saudita non l'ha presa bene, Al Jazeera ha reso sexy la Fratellanza musulmana in Tunisia, in Libia, in Egitto e anche in situazioni più periferiche.
Il Qatar ha finanziato con 7 miliardi anche Hamas, ma l'investimento non funziona più: l'organizzazione di Gaza subisce i colpi del nuovo governo militare egiziano che gli dà la caccia nel Sinai, che non gli consente più di esportare armi e uomini in Egitto. Hamas, membro dei Fratelli, ha perso il fratellone egiziano, e il Qatar non si sente tanto bene. Anche Hezbollah non è più l'asso pigliatutto in Libano: avendo combattuto con migliaia di uomini a fianco di Assad, di fatto ha creato disgusto all'interno del Libano.
I ribelli siriani raggiungono con attentati la Milizia Sciita amica di Assad fino a Beirut, e si ricompongono vecchie amicizie sunnite-cristiane anti Hezbollah e Siria. Per Assad vedremo. Ogni giorno una sorpresa nuova.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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