Gb, elezioni amministrative Cameron punito dalla crisi Johnson si salva a Londra

Conservatori a picco: persi 800 consiglieri. Montano le critiche al premier: "Dica addio ai matrimoni gay e torni a parlare alla destra"

Gb, elezioni amministrative Cameron punito dalla crisi Johnson si salva a Londra

Boris «il biondo» batte Ken «il rosso», ma Londra è in controtendenza nelle amministrative test di medio termine per l’ese­cutivo: il Labour picchia duro sui Tory, dà il via alla rimonta e torna a farsi interprete dell’insof­ferenza e dei malumori di un Paese appena ri­piombato nell’incubo recessione nonostante la politica di«lacrime e sangue»imposta dal go­verno di coalizione di David Cameron.

«Votate per me anche se sono Conservato­re »: la spiegazione più efficace dei risultati dell’elezione a sindaco della capi­tale- il probabile successo di Boris Johnson sul cavallo pazzo Ken Livingstone, in corsa per il terzo mandato - la serve un peso massimo del Labour, Ed Balls, che sintetizza il senso della campagna elettorale di Johnson: una lotta fra personalità in cui il Tory nemico del politically correct, sboccacciato e spettinato, ha prevalso nonostante il vento soffi a favore dell’opposi­zione laburista e proprio perché ha marcato la propria diversità di sostanza rispetto alle poli­ti­che di governo e di immagine rispetto alla lea­dership di Cameron.

«Il Labour è tornato», ha commento Ed Mili­band. «La gente sta soffrendo per la recessione e per un governo che ha alzato le tasse per il po­polo e le ha tagliate per i milionari». Eppure quella di ieri, più che la prima vittoria politica per il numero uno laburista, accusato finora di una leadership troppo debole (e colpito ieri da un uovo a Southampton), è soprattutto la scon­fitta più evidente di David Cameron. Quella che brucia di più. A spoglio quasi concluso ­molto a rilento come nella peggiore tradizione British - dall’Inghilterra al Galles alla Svozia, i Tory soccombono perdendo almeno 12 consi­gli comunali e 395 consiglieri mentre il Labour segna una netta avanzata in 30 comuni e gua­dagna 769 consiglieri. Ma c’è molto di più. Ca­meron perde nella sua roccaforte, l’Oxfordshi­re, e perde la sfida su cui aveva messo la faccia: Manchester, Coventry, Nottingham e Bra­dford (con l’eccezione di Bristol) dicono «no» all’elezione diretta del sindaco che il premier aveva sponsorizzato e sulla quale aveva indet­to referendum locali.

Infine lo smacco peggio­re: la sola e simbolica vittoria che il primo mini­stro può vantare è quella messa a segno dal compagno di partito divenuto ormai sempre più insidioso: quel Boris Johnson, giornalista ed ex direttore del settimanale The Spectator, che con il capo di governo ha ben poco in co­mune (a parte gli studi e le sbronze a Eton, il col­lege della nobiltà). Battuta facile, comunicazione efficace, appeal sugli elettori: Johnson ha tutte le carte in regola per programmare un assalto alla leadership dei Tory e per portarlo a termine, magari cominciando col farsi elegge­re in Parlamento alle politiche in programma nel 2015. Compassato come al solito, il premier si è detto dispiaciuto «per tutti i consiglieri conser­vatori che si sono duramente impegnati e che hanno perso i loro seggi in una situazione na­zionale difficile». Poi la lettura del risultato: «Questi sono tempi difficili e non ci sono rispo­ste facili. Quello che dobbiamo fare è prende­re decisioni difficili per far fronte al debito, al deficit e all’economia in crisi che abbiamo ere­di­tato e continueremo a prendere queste deci­sioni e a fare la cosa migliore per il Paese».

Ma intanto nel partito prende forza l’ala du­ra di chi- già al momento dell’elezione- aveva criticato Cameron per essersi distaccato trop­po dai veri valori conservatori e lo accusa ades­so di aver divagato su temi secondari ma non irrilevanti per l’elettorato Tory, come l’annun­cio dell’introduzione dei matrimoni omoses­suali. L’accusa? Essere finito nel tritacarne del governo di coalizione coi liberaldemocratici, anche loro pesantemente penalizzati dal voto (hanno perso oltre 300 consiglieri) e dalle poli­tiche di governo, additati per l’alleanza con i conservatori.

Il leale vicepremier Nick Clegg, spalle al muro, ha ammesso di essere

«triste» per la perdita di consensi ma ha mostrato il soli­to fair play britannico: «Continueremo a gioca­re il nostro ruolo» per il «salvataggio e la rifor­ma » dell’economia, un compito che «non si esaurisce in una notte».

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