«Vogliamo un lieto fine nella vicenda dei marò e per questo abbiamo deciso di intervenire». Non lo sostiene il reggimento San Marco o il governo italiano, ma Vinod Sahai uno degli indiani più in vista della folta e operosa comunità che vive nel nostro paese. «Lunedì parto per New Delhi dove presenterò una petizione alla Corte suprema, a nome dell’associazione che rappresenta i 200mila indiani in Italia per risolvere il caso dei due marò con un accordo che porti alla loro liberazione» dichiara al Giornale «l’uomo che apre tutte le porte» con l’India.Venerdì scorso l’Associazione indiana del Nord Italia si è riunita in assemblea per deliberare la missione a Delhi. All’iniziativa ha aderito anche l’Indian business forum, organizzazione no profit nata lo scorso anno per avvicinare imprenditori e professionisti indiani ed italiani. Sehai è fondatore della prima associazione e presidente del forum. Non solo: ambedue godono del patrocinio del Console generale dell’India a Milano.
Una sorprendente svolta positiva cinque mesi dopo l’arresto di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, adesso in libertà su cauzione. Oggi si terrà l’ennesima udienza del processo a loro carico nello stato del Kerala per l’accusa di omicidio di due pescatori.
Dall’Italia gli indiani che vivono da noi si mobilitano per i nostri fucilieri e per preservare giustamente i loro interessi. «Riteniamo che ci possano essere reazioni negative nei nostri confronti se i marò non verranno rilasciati - spiega l’ingegnere Sehai - . Il sentimento dell’opinione pubblica è incontrollabile. Vogliamo che si arrivi a un lieto fine con il ritorno a casa dei due fucilieri di marina, anche per la tranquillità della nostra comunità ». Per ora ritorsioni clamorose non ce ne sono state «ma vorremmo evitare qualsiasi eventualità del genere»,sottolinea l’amico indiano dei marò. «Il 26 luglio ci sarà l’udienza presso la Corte suprema indiana sul caso (per decidere sulla giurisdizione, nda ). Presenteremo una petizione facendo presente che i 200mila indiani in Italia non vogliono subire ripercussioni per questa vicenda. La nostra richiesta è di fermare il processo e trovare un accordo extragiudiziale per riportare in Italia i marò ». Sehai vive da 44 anni in Italia e sull’incidente che ha coinvolto la petroliera italiana Enrica Lexie e il nucleo anti pirateria dei marò ha le idee chiare. «La guardia costiera non aveva il diritto di far rientrare la nave dalle acque internazionali per poi trattenerla - osserva Sehai - . Il capitano ha obbedito, ma è stato attirato a Kochi in maniera scorretta». Sulla morte dei due indiani a bordo del peschereccio St. Anthony, che secondo l’accusa sono stati uccisi dai fucilieri del San Marco, l’amico dell’Italia sostiene: «Il problema non è chi ha sparato, ma perché. I marò hanno aperto il fuoco per difendere la nave in servizio antipirateria e non certo per uccidere qualcuno come se fosse un tiro al bersaglio». Quanto al processo nello Stato del Kerala, il rappresentante degli indiani in Italia pensa che «vada sospeso dichiarando che il governo e la magistratura locali sono incompetenti su un caso del genere. E nel contempo la Corte suprema deve invitare il governo indiano a trovare un accordo con l’Italia per chiudere amichevolmente la faccenda evitando incidenti diplomatici».
A parole sembra facile ma lo stesso ingegnere indiano ammette che l’esecutivo del Kerala,influenzato dalla sinistra molto forte nell’area, fa un po’ quello che vuole rispetto a New Delhi. Secondo Sehai «questo caso si doveva risolvere ben prima che si gonfiasse più del necessario. Anche i risarcimenti alle famiglie dei pescatori uccisi sono arrivati troppo tardi. E all’inizio le reazioni dell'Italia sono state un po’ lente».
L’ingegnere è stato consigliere di Fiat India e dal 2006 è amministratore delegato di Ambro & Asia Ltd, società specializzata nell’aprire le porte del gigante asiatico alle imprese italiane. L’uomo giusto per trovare una via di uscita all’intricato caso dei marò facendo pesare la forza della comunità indiana in Italia, che nel 2011 contava, secondo l’Istat,120mila persone. «Poi saranno il governo e la giustizia italiana a decidere se i due fucilieri di marina devono essere processati in patria», sottolinea Sehai.
L’ingegnere che risiede a Milano si dice ' ottimista sul risultato della nostra iniziativa. Non solo io, ma gli indiani che vivono in Italia pensiamo che i marò devono tornare a casa».
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