Insulti ai ricchi di Francia Ora Hollande e la gauche perseguitano i Paperoni

Insulti ai ricchi di Francia Ora Hollande e la gauche perseguitano i Paperoni

Chi ha insultato chi? E soprattutto: tassare i grandi patrimoni fino a spingerli a espatriare, vuol dire fare un favore al Paese o far scappare le uniche risorse che possono garantire la ripresa? Ruota attorno a queste due domande la bagarre politico-social-imprenditoriale esplosa nelle ultime ore in Francia e culminata ieri nella copertina a dir poco irriverente di Libération. «Vattene, ricco coglione» - «Casse-toi, riche con» - è il titolo a tutta pagina, sfoderato dal quotidiano progressista per prendere di mira Bernard Arnault, uomo più ricco di Francia e quarto più ricco del mondo, proprietario del gruppo del lusso Lvmh e carissimo amico dell'ex presidente Nicolas Sarkozy, del quale è stato testimone alle seconde nozze con Cécilia e col quale ha condiviso i momenti salienti della sua vita privata e politica, dalla cena allo chiccosissimo Fouquet's con il gotha dell'imprenditoria per festeggiare la vittoria alle presidenziali del 2007 alla notte della sconfitta del maggio scorso.
Tutto ruota attorno alla decisione dell'imprenditore, svelata sabato dal giornale belga La libre belgique, di avviare le procedure per aggiungere alla cittadinanza francese quella belga. «Ragioni personali», ha fatto sapere il patron del doppio impero Vuitton-Dior, tentando di sfuggire al sospetto di molti convinti che si tratti solo di una fuga dalla «tassa Paperoni», la stangata del 75% voluta dal presidente François Hollande sulla parte di reddito che oltrepassa il milione di euro. «Il simbolo dell'egoismo dei più fortunati» lo attacca invece Libération, che per la copertina ha preso in prestito il celebre insulto - «Casse-toi, pauvre con», «vattene, povero coglione» - rivolto dall'ex presidente Sarkò a un contestatore che nel 2008 si era rifiutato di stringergli la mano.
In una giornata politica a dir poco concitata, ieri Aurnault ha annunciato querela contro Libération per «ingiurie pubbliche» ed è tornato a precisare: «Sono e resterò fiscalmente residente in Francia e come tale adempirò, come tutti i francesi, ai miei obblighi fiscali». Ma sulla partita è appena stato fischiato il calcio di inizio. Oggi infatti il giornale rincara la dose: «Bernard, se torni annulliamo tutto», titola in prima pagina, con chiaro riferimento al famoso sms che Sarkozy inviò all'ex moglie Cecilia per farla tornare da lui. O forse è solo il secondo tempo di un dibattito sulla fuga dei capitali all'estero già cominciato alla vigilia delle presidenziali. Perché mentre la Francia vive una crisi nera, con un Pil pari a zero quest'anno e stime al ribasso per il 2013 (0,8% contro l'1,2% previsto in precedenza dal governo), mentre il presidente in crisi di popolarità chiede sacrifici «senza precedenti» e annuncia in tv di dover trovare 30 miliardi entro l'anno prossimo, monsieur normal ribadisce le sue intenzioni: abbattere la scure della tassazione sui ricchi, trovare 20 miliardi da un innalzamento delle imposte, anche sulle famiglie, ma «soprattutto le più facoltose» e poi infine non desistere nemmeno per un momento sull'imposta del 75% per i super-ricchi. Con il rischio di una fuga dalla Francia in grado di mettere in ginocchio anche l'industria calcistica, a cominciare dal celebre Paris Saint Germain degli sceicchi, che quest'anno ha portato star del calibro di Thiago Silva, Lavezzi e Ibrahimovic dalla sua ma ora rischia di vedersele sfuggire a causa di un regime fiscale impietoso, magari verso la Russia che applica una sola tassa, non progressiva, con aliquota del 13%.
Così il caso Arnault diventa una bandiera. Con la destra che accusa Hollande di perseguitare i più facoltosi per pregiudizio ideologico, di mettere in ginocchio il Paese facendo scappare le migliori risorse e di cavalcare il caso per aizzare la gente in una obsoleta «caccia al ricco». E con la sinistra che accusa Arnault di voler usare la mossa come arma politica e di offendere la patria per pure ragioni di portafoglio. Così Hollande ne approfitta per cavalcare l'onda e dire in diretta tv che l'imprenditore «avrebbe dovuto misurare bene cosa significa chiedere un'altra nazionalità, perché noi siamo fieri di essere francesi».

«La sua decisione è intervenuta in un momento molto particolare della vita politica, qualche giorno dopo aver incontrato il primo ministro Jean-Marc Ayrault e nel momento in cui il governo svelava i suoi progetti fiscali per i francesi più fortunati», spiega Sylvain Bourmeau, vicedirettore di Libération. «La nostra era ironia. Non insultiamo Bernard Arnault per vendetta. E lui, non insulta i francesi se prende davvero la decisione di andarsene?».

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