E adesso? Quel dubbio è l'unica certezza di tutti i venezuelani. Se lo chiedono sia quelli scesi a grondar lacrime al passaggio della salma di Hugo Chavez traslata ieri all'Accademia militare di Caracas, sia quelli che venerdì si guarderanno bene dal presentarsi ai funerali. Il problema, lo sanno tutti, non è chi arriverà dopo, ma quel che il «caudillo» si lascia dietro. Un'eredità pesante che neppure le seconde riserve di greggio del pianeta possono alleviare. Il primo a saperlo è il fedelissimo vicepresidente Nicolas Maduro chiamato a rimpiazzarlo e a correre per la successione nelle elezioni previste, come da costituzione, entro 30 giorni dalla morte. Sicuramente vincerà, ma i problemi per lui incominceranno in quel preciso istante. Da qui al voto Maduro può contare sull'effetto della macabra pantomima messa in scena poco prima dell'annuncio della dipartita quando lui e altri esponenti del regime hanno avvalorato la tesi di un tumore indotto e alimentato da una sofisticata operazione d'avvelenamento targata Washington.
Non ci crede nessuno, ma serve ad avvalorare l'idea di un paese nel mirino degli yankees. Un paese dove i seguaci del defunto leader devono fare muro compatto contro l'opposizione interna dipinta come sordida quinta colonna dell'America e del capitalismo. Unendo queste tesi surreali alla commozione nazionale e all'indiscusso consenso di cui gode il partito del caro estinto Maduro non avrà problemi a piegare Henrique Capriles Radonski, il giovane governatore capo dell'opposizione, già sconfitto da Chavez nelle elezioni dello scorso ottobre.
I problemi veri incominceranno quando il devoto, ma grigio successore dovrà salutare il mondo delle favole e misurarsi con quello dei numeri e dei problemi reali. Il primo si chiama petrolio. Quando 14 anni fa il suo prezzo sprofondò intorno ai dieci dollari al barile Chavez lo usò per incolpare d'inettitudine i suoi predecessori e conquistare il potere. Quello stesso petrolio, con un prezzo risalito dai 10 ai 91 dollari, è diventato il propellente della sua rivoluzione da bancarotta. Per conquistarne il controllo ha innanzitutto messo alla porta i dirigenti della Petróleos de Venezuela (Pdvsa) non allineati con lui. Subito dopo ha trasformato la compagnia in un gigantesco e surreale banco di mutuo soccorso. Dai serbatoti della Pdvsa escono i centomila barili di greggio devoluti quotidianamente a Cuba e quelli riconosciuti ad altri paesi amici. Con i soldi del greggio si pagano le tre milioni di «case per tutti» da costruire, come promesso prima delle presidenziali di ottobre, entro il 2018. Con le entrate dell'oro nero si finanziano persino i sussidi di stato indispensabili per consentire ai venezuelani di pagare meno di 7 centesimi di euro una benzina proveniente non dalle dissestate raffinerie di stato, ma da quelle degli odiati Stati Uniti. Senza contare i 640mila barili di petrolio spediti quotidianamente in Cina per ripagare un prestito da 42,5 miliardi di dollari. L'oro nero usato per alimentare la rivoluzione permanente del Caudillo rischia insomma di durare poco. Anche perché l'eliminazione dei manager più qualificati e la mancanza d'investimenti nella ricerca hanno fatto precipitare la produzione dai 3 milioni di barili al giorno del 2000 agli appena 1,7 milioni del 2011. Se a tutto ciò si aggiunge che il settore petrolifero rappresenta il 50 per cento dell'economia e garantisce il 90 per cento delle entrate in valuta estera i conti sono presto fatti.
La svalutazione del 32 per cento ordinata a febbraio da Maduro garantirà ben pochi benefici visto che il settore dell'economia non condizionato dal petrolio è assai modesto. L'inflazione del 20 per cento continuerà invece ad erodere i risparmi dei venezuelani. Che si saranno anche liberati del Caudillo, ma non potranno far a meno di sopportarne la pesante eredità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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