Marines in Nigeria per le liceali. Ecco per chi combatte l'America

Obama commosso per le giovani rapite dagli islamisti: "Rivoltante". E manda un team. Dopo Siria e Ucraina, il mondo si chiede se gli Usa sono ancora il gendarme globale

Marines in Nigeria per le liceali. Ecco per chi combatte l'America

New York - La Nigeria ha accettato l'aiuto degli Stati Uniti. Ventidue giorni dopo il sequestro di oltre 300 studentesse in una regione remota nel Nord del Paese, il presidente Barack Obama in un'intervista alla Abc News ha parlato di crimine «atroce» e «straziante» e ha rivelato che l'America ha spedito in Nigeria «una squadra» formata da personale militare, esperti di intelligence, tecnici, legali, specialisti in negoziati e assistenza di vittime di rapimenti. Tra loro, ha specificato il portavoce della Casa Bianca Jay Carney, non ci sono truppe combattenti. Il sequestro di adolescenti tra i 12 e 18 anni ha generato indignazione ovunque per le azioni di Boko Haram - in lingua Hausa, «l'educazione occidentale è peccato» - gruppo estremista islamico che ha causato oltre 1.500 vittime in Nigeria nel corso degli anni e che ancora ieri, secondo i media locali, ha ucciso più di 150 persone nell'attacco di un villaggio al confine con il Camerun. Il video rivendicazione del leader Abubakar Shekau, in cui l'uomo minaccia la vendita sul mercato delle ragazze come schiave, è stato visto ovunque nel mondo, dando ancora più risalto a una campagna per la liberazione delle giovani. Su Twitter, l'hashtag «#bringbackourgirls» è stato usato più di un milione di volte e nelle città nigeriane continuano le proteste. L'America reagisce così a una situazione tragica che ha colpito le emozioni dell'opinione pubblica internazionale, come già accaduto (assieme agli Usa interverranno anche anche altri Paesi, tra cui l'Italia con il suo intelligence).

Ancora pochi mesi fa, a marzo, l'Amministrazione Obama ha rafforzato la presenza delle sue forze speciali e dei suoi aerei militari in Uganda, per dare la caccia al signore della guerra Joseph Kony, il leader di quella Lord Resistance Army tragicamente nota per un'altra storia che commuove da anni l'Africa e il mondo, la leva forzata di centinaia di soldati bambini. Obama ha auspicato che i terribili eventi nigeriani possano focalizzare l'attenzione internazionale sulla pericolosa situazione africana: «Dobbiamo anche affrontare il problema più ampio di come organizzazioni di questo tipo mettano a rischio la vita quotidiana delle persone». Nel 2012, il generale Carter Ham dello US Africa Command ha rivelato che Boko Haram collabora da tempo con Al Qaeda nel Maghreb islamico e gli Shabab in Somalia.

E proprio in Somalia, ha scritto a gennaio il Washington Post, gli Stati Uniti hanno invitato segretamente una squadra di consiglieri militari per l'addestramento di truppe, i primi in divisa americana nel Paese dal 1993. Il Global Cop, il poliziotto globale americano che nel 2013 ha appoggiato l'operazione francese in Mali e nel 2011 assieme alla Nato ha sparato dalle sue navi missili Tomahawk verso le truppe libiche del colonnello Gheddafi, si è mosso ancora una volta, mentre nel mondo cresce il nervosismo degli alleati. «Per cosa l'America sarebbe pronta a combattere?», chiede la copertina dell'Economist, sottolineando le critiche all'Amministrazione Obama, accusata di erodere il ruolo di superpotenza dell'America. «L'America non fa più paura ai suoi nemici e non rassicura i suoi amici», ha scritto il settimanale britannico che spiega come la decisione di non intervenire militarmente in Siria dopo gli attacchi chimici del regime, linea rossa definita invalicabile da Obama, avrebbe fatto perdere credibilità a Washington. È però soprattutto una questione di percezione.

Così, anche se l'America di Obama nel 2011 ha ucciso Osama Bin Laden, se Washington assicura sostegno al Giappone in caso di una mossa della Cina sulle contese isole Senkaku, se 600 soldati americani sono nei nervosi Baltici e in Polonia per contenere le mire espansionistiche russe, se le sanzioni pesano su Mosca, se 28mila truppe statunitensi sono stazionate in Corea del Sud per arginare Pyongyang, e se l'Iran negozia il presidente è percepito come debole in politica estera, scrive David Ignatius sul Washington Post. L'Economist però mette in guardia chi «celebra il declino della capacità di deterrenza» degli Stati Uniti: «La potenza americana non fa metà della paura di quanto lo farebbe la sua assenza».

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