Il re del cioccolato ucraino, Petro Poroshenko, ha il vento in poppa per diventare il prossimo presidente dell'Ucraina: i sondaggi gli attribuiscono il 48 per cento delle intenzioni di voto, mentre la sua più accreditata avversaria, la pasionaria dell'ormai sbiadita rivoluzione arancione Yulia Tymoshenko, non raggiunge il 15 per cento. Ma il ricco industriale, sostenitore della rivolta di Maidan che ha costretto all'esilio il vecchio sodale dei russi Viktor Yanukovich, potrebbe presto veder svanire il suo sogno come una bolla di sapone prima delle elezioni fissate per il 25 maggio. Ragioni di forza maggiore incombono: ragioni di guerra.
Inutile girarci attorno. La strategia russa per intervenire militarmente in Ucraina e riaffermare l'egemonia regionale cui Mosca non intende rinunciare sta facendo il suo inesorabile corso. Le mani sulla Crimea sono state messe e non saranno ritirate; il casus belli con Kiev nelle province orientali viene attivamente alimentato da professionisti russi inviati oltrefrontiera sotto copertura e se le forze armate ucraine provano a contrastarli Mosca si dice pronta a «difendere dai criminali i connazionali minacciati»: ieri erano in corso massicce «esercitazioni» e la tv dell'agenzia Reuters mostrava imponenti colonne di veicoli militari, trasporti truppe blindati e batterie lanciamissili in movimento nella zona confinale di Rostov. Il ministro russo degli Esteri Sergei Lavrov ha chiarito che «se vengono attaccati cittadini russi si tratta di un attacco contro la Russia e se i nostri interessi in Ucraina saranno attaccati risponderemo come in Georgia nel 2008». Poi il tentativo di delegittimazione delle presidenziali del 25 maggio, che «sarebbero distruttive senza un'intesa coi filorussi».
Quello militare non è il solo mezzo usato da Vladimir Putin per chiarire le proprie intenzioni rispetto all'Ucraina che Obama proclama (di malavoglia) di voler difendere: quello economico è altrettanto efficace. Mentre si cerca una data per un trilaterale Ue-Mosca-Kiev sul gas, giorno dopo giorno al Cremlino apprezzano l'evidente disagio degli europei rispetto all'applicazione di sanzioni contro la Russia. Ieri il ministro tedesco dell'Economia Sigmar Gabriel ha fornito una perfetta dimostrazione delle contraddizioni europee: «Nessuno - ha detto - vuole sanzioni economiche ma è chiaro anche che il governo federale, nel contesto europeo, non teme di comminarle». Da dove gli venga tanta chiarezza non si capisce: è assai più chiaro che l'economia tedesca (come quella di altri Paesi Ue, Italia inclusa) è strettamente interconnessa con quella russa e che le sanzioni danneggerebbero con la Russia anche chi le applicasse. Putin lo sa benissimo, e tira dritto. Anzi, siamo ormai all'avvertimento diretto: secondo la stampa belga, Novolipetsk Steel (che impiega in Europa circa 2500 persone) ha inviato una lettera alla Commissione Ue e ai governi di Belgio, Francia, Italia e Danimarca, dove il gruppo russo dell'acciaio ha degli impianti, in cui minaccia «la chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti in Europa».
In un simile contesto impressiona ma non stupisce lo stile gangsteristico con cui i «ribelli filorussi» del Donetsk gestiscono la vicenda del reporter americano (di origine russa e pare munito anche di passaporto israeliano) Simon Ostrovski. Già oggetto di minacce e violenze (documentate dalla Cnn) in Crimea, Ostrovski è stato picchiato e sequestrato.
Il capo dei filorussi di Sloviansk, Viaceslav Ponomariov, ha confermato tranquillamente il rapimento e indirettamente il pestaggio («è in condizioni soddisfacenti») e ha accusato il giornalista di essere una spia dell'estrema destra ucraina. Washington esprime «grande preoccupazione», ma non muove un dito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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