Navi a Gibilterra e alle Senkaku È la diplomazia delle cannoniere

La flotta inglese salpa per la Spagna, quella cinese fa rotta verso le isole contese. Nonostante gli "ombrelli" nucleari, si ritorna alle dimostrazioni di forza in mare

Navi a Gibilterra e alle Senkaku È la diplomazia delle cannoniere

C'era una volta il deterrente atomico, e c'è ancora, per carità. Troppo spesso dimentichiamo che se negli ultimi settant'anni in Europa non c'è stata una guerra (con l'eccezione di quelle nella ex Jugoslavia negli anni Novanta che vanno considerate una tragica variabile locale) dobbiamo ringraziare l'ombrello atomico e la famosa - per chi se la ricorda - Mutual Assured Destruction, ovvero la certezza che se uno dei due blocchi contrapposti della guerra fredda avesse attaccato per primo, l'altro avrebbe fatto in tempo a rispondere trasformandolo in un deserto nucleare per secoli.

Questa realtà ha di fatto tolto dalla testa dei leader politici europei dell'est e dell'ovest l'idea di risolvere i propri problemi con una guerra: semplicemente, non era più possibile farlo. Al tempo stesso, però, essa produce un effetto paradossale. Proprio perché una guerra vera e devastante è resa impossibile dagli arsenali atomici, per alzare la voce con i propri vicini non resta che fare ricorso a sistemi d'altri tempi.

Chi ha un po' di memoria dei suoi studi di storia ricorderà l'epoca della «diplomazia delle cannoniere». Un'epoca che ha inizio (anche se volendo si potrebbe andare più indietro) nel XIX secolo e che vide grandi protagonisti soprattutto la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, imitati all'inizio del Novecento anche dalla bellicosa Germania. In quegli anni, i Paesi dotati delle flotte da guerra più potenti erano soliti inviare navi armate con temibile artiglieria davanti alle coste dei loro avversari per intimidirli e indurli a subire la loro volontà senza dover ricorrere a un vero e proprio conflitto.

Di solito era sufficiente la comparsa di un certo numero di navi militari ben armate a ottenere il risultato voluto, in altri casi qualche cannonata faceva capire che opporre resistenza non avrebbe avuto significato. Fu anche così che Londra (soprattutto) e Washington conquistarono i loro avamposti in tutto il mondo, imponendo trattati e mettendo letteralmente le basi per i loro imperi commerciali e non solo. Casi celebri furono le ottocentesche «guerre dell'oppio», in seguito alle quali la Cina si trovò costretta ad aprire le sue acque alle flotte britanniche e occidentali, l'occupazione americana di Veracruz durante la rivoluzione messicana nel 1914, l'invio della corazzata tedesca «Panther» ad Agadir in Marocco nel 1911 per contrastare (invano) la politica coloniale francese.

E oggi? Oggi il mondo è molto cambiato, ma assistiamo a un ritorno dell'impiego delle flotte militari per esercitare pressioni su altri Paesi. È di questi giorni il riaccendersi della periodica crisi tra Madrid e Londra sulla questione di Gibilterra; i britannici hanno aumentato gli ostacoli ai pescherecci spagnoli nelle loro acque e gli spagnoli hanno reagito imponendo controlli vessatori al confine di terra del possedimento di Sua Maestà. Non sembra casuale, anche se Londra formalmente lo nega parlando di semplice tappa durante una missione di routine, l'invio a Gibilterra di una formazione navale della Royal Navy comprendente la fregata Westminster e altre unità.

Ma se il contrasto tra due Paesi membri dell'Unione Europea fa più che altro arricciare il naso, ben più preoccupante è il sempre più frequente (l'ultimo risale a ieri) invio di navi di Pechino nelle acque territoriali giapponesi delle isole Senkaku, arcipelago disabitato ma strategico che i cinesi chiamano Diaoyu.

Tokyo, uscita a pezzi dalla seconda guerra mondiale, segue da settant'anni una politica di pace, ma il suo nuovo premier Shinzo Abe preme sull'acceleratore del nazionalismo non meno di quanto faccia il nuovo leader del gigante cinese Xi Jinping, molto vicino agli ambienti militari. E Pechino pare orientata a usare la «diplomazia delle cannoniere» anche con altri vicini, sempre più preoccupati.

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