Il ritorno della Pigna fa felici i veronesi (e non solo)

Ha riaperto la storica trattoria scaligera chiusa da dodici anni, con un nuovo concept e una nuova proprietà ma la stessa atmosfera calda e informale. Ecco la cronaca della mia visita, tra piatti della tradizione italiana perfettamente eseguiti (notevoli l’Animella fritta e gli Gnocchi gratinati), un occhio agli anni Ottanta e una carta dei vini sospesa tra convenzionali e “ribelli”. Ma il punto forte è il servizio

Il ritorno della Pigna fa felici i veronesi (e non solo)
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Ha riaperto da poche settimane ma è già piena ogni sera. Perché La Pigna era già nel cuore dei veronesi, che avevano amato molto questo locale chiuso poi dodici anni fa e rimasto come un buco nero della memoria gastronomica cittadina. Quindi pareva non vedessero l’ora di ritornare a mangiare in questo locale in pieno centro, a poca distanza da piazzale delle Erbe, che con buona pace dell’Arena è il vero cuore della città scaligera.

La riapertura della Pigna è dovuta al piglio imprenditoria di Luca Gambaretto, che con la sorella Silvia detiene il gruppo Do It Better, che vanta a Verona altre tre insegne: l’elegante Ristorante Maffei, l’AMO Bistrot e Oblò. Tutti locali in cui l’intenzione è dare grande enfasi a ospitalità e accoglienza allo scopo di far sentire a casa il cliente. E a giudicare dalla mia esperienza alla Pigna l’obiettivo è perseguito con grande attenzione.

Sono stato alla Pigna la sera di domenica e ho trovato un locale pieno e vibrante. L’ingresso, una sorta di wine bar dove bere un bicchiere e piluccare qualcosa al bancone o in alcuni tavolini, sembrava una festa; la sala accanto e quella sotterranea, una sorta di taverna chic un tempo adibito a magazzino, erano piuttosto piene. E la cosa bella è che, in una città profondamente turistica come Verona, bastava aguzzare le orecchie per comprendere che si trattava per lo più di locali. E a me hanno insegnato – e nessuno poi mi ha fatto cambiare idea – che un ristorante sano deve avere una base solida di clientela cittadina. Perché i turisti vanno e vengono, ma sono gli aficionados a scrivere la storia di un locale.

Mi ha accolto la deliziosa Chantal, che dopo avermi spiegato la storia del locale mi ha fatto accomodare al mio tavolo. Lì ho potuto studiare la carta, fondata sull’algoritmo 6x6x6x5, dal numero delle proposte per ogni sezione (antipasti, primi, secondi, dolci). Un menu non troppo lungo – altra regola che resta valida – è sempre un buon segno: è indice di convinzione, di identità e di ingredienti che “girano” e che quindi sono presumibilmente freschi. Io ho potuto provare tre antipasti: una delicata Trota marinata con le sue uova, puntarelle e una citronnette, una fantastica Animella fritta, asciutta ed elegante, e un Baccalà mantecato servito in cima a una fetta di polenta fritta che gioca a memoria sul terreno della tradizione.

Ecco i primi, ne assaggio due: notevoli i Bigoli con ragù bianco di anatra ma ho preferito gli Gnocchi gratinati con asparagi e taleggio, che appartengono a quella parte del menu che gioca apertamente con gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso e a cui appartengono anche i Tubetti alla vodka e i Tortellini alla superpanna (che lo chef Mirco Pasini vede anche come un omaggio al grande Massimo Bottura), che però non ho provato. Tra i secondi la parola alla Tagliata di cavallo, correttamente al sangue e solo un po’ asciutta (ho chiesto dell’olio perché ne ho sentito il bisogno), accompagnata da patate al forno. Sono rimasto con la curiosità di sapere come sarebbero stati interpretati il Saltimbocca alla romana e lao Cotoletta alla milanese che rappresentano l’identità gastronomiche delle due città tra cui mi divido. Sarà per la prossima volta.

Infine i dolci: tre assaggi: una Zuppa inglese molto compatta, una Sbrisolona mantovana da accompagnare a una crema e intingere nella grappa, e un Tiramisù in cui il genius loci contribuisce con il pandoro schierato al posto dei savoiardi. Sapori di casa. Carta dei vini con un centinaio di referenze, sospesa tra etichette convenzionali e alternative, comunque senza estremismi. A consigliare è il bravo Andrea. Il servizio è accurato e dal buon ritmo. I prezzi sono onestissimi: antipasti tra 12 e 16 euro, primi tra 12 e 15, secondi tra 18 e 24, dolci a 8 euro. A costruire un menu con un piatto medio di ogni sezione (che costituiscono una cena ragguardevole) si spendono attorno ai 55 euro. Ma serve avere molta fame davvero.

La Pigna ha un arredamento moderno e caldo, con travi a vista e pareti in mattone nude. Il sottofondo sonoro cambia di sala in sala ed è sempre discreto (nel corso della mia cena ho fatto un viaggio sonoro nella musica italiana degli ultimi cinquant’anni). I coperti sono una settantina.

La cucina, come detto, è affidata a Mirco Pasini, che sovrintende a tutti i locali del gruppo, mentre il lavoro quotidiano è nelle mani di Francesco

La Pigna si trova in via Pigna 4B. E’ aperta la sera dal martedì alla domenica, a pranzo il sabato e la domenica. Chiusa il lunedì. Tel. 0452246691. Prenotazioni su https://lapigna.plateform.app/

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