Orrore in Siria, crocefissi i nemici

Supplizi in pubblico per intimidire chi contrasta l'Isis. Il leader, Al Baghdadi, proclama il Califfato

Usare la croce per imporre il proprio fanatismo e seminare il terrore tra i musulmani usando un simbolo cristiano. È l'ultima strategia dei ribelli qaidisti dell'Isis (Stato Islamico di Siria e Iraq) che proprio ieri hanno proclamato la nascita del Califfato islamico sui territori sotto il loro controllo. Un califfato esteso da Aleppo nel nord della Siria fino al governatorato di Diyala, nell'Iraq orientale e affidato ad Abu Bakr al-Baghdadi, il misterioso personaggio che da anni guida l'organizzazione.

La proclamazione del Califfato è stata preceduta dalla crocifissione di almeno nove persone nei territori siriani dell'Isis. Tra i nove disgraziati, vittime di quella che sembra diventata la forma di esecuzione preferita dalla formazione, c'erano otto ribelli colpevoli di combattere con le organizzazioni rivali e un ex militante dello stesso Isis accusato di estorsione ai danni dei civili. Ma l'immagine di quei corpi inchiodati alle croci nel centro di Deir Hafer, un villaggio ad est di Aleppo, è anche il simbolo delle contraddizioni del conflitto siriano. Un conflitto dominato, sul fronte ribelle, dalla lotta intestina tra l'Isis e Al Nusra, due forze uscite entrambe della galassia di Al Qaida. Un conflitto diventato tutt'uno con quello iracheno da quando le brigate irachene dell'Isis hanno conquistato Mosul e cancellato la frontiera iracheno-siriana.

Eppure, nonostante il conflitto cambi volto e forma, facendo emergere nuovi più pericolosi nemici, la Casa Bianca continua a cercar alleati moderati tra i gruppi anti-Assad. Un'illusione reiterata giovedì scorso quando il presidente Barack Obama ha chiesto al Congresso di approvare uno stanziamento da 500 milioni dollari per armare e addestrare le fazioni meno estremiste. Dietro la richiesta, ha precisato il segretario di stato John Kerry, c'è anche il tentativo di armare dei gruppi in grado di contrapporsi all'Isis.

Sia la Casa Bianca sia la Segreteria di Stato sembrano però dimenticare che i ribelli moderati sono stati spazzati via prima dalle offensive governative e poi da quelle dell'Isis. Negli ultimi 12 mesi l'Esercito Libero Siriano, la formazione armata meno lontana dalle posizioni occidentali, ha perso più uomini combattendo contro l'Isis che non contro Bashar Assad. L'unica formazione in grado di contrapporsi all'Isis sul territorio siriano, oltre all'esercito governativo, è stata invece quell'Al Nusra uscita, come già detto, dalla stessa galassia di Al Qaida.

Le illusioni e i tentennamenti di Obama rendono più difficili anche i rapporti con il governo di Bagdad. Il premier iracheno Nouri Al Maliki, minacciato direttamente dall'avanzata dell'Isis, sembra inevitabilmente preferire le certezze di alleati come Bashar Assad, l'Iran e la Russia piuttosto che le condizioni poste dall'America per concedergli un lento e fiacco appoggio militare. Ieri, ad esempio, sono arrivati in Iraq i primi caccia bombardieri Sukhoi messi a disposizione da Vladimir Putin per garantire appoggio aereo negli scontri con il gruppo sunnita qaidista. Dietro quella fornitura c'è l'ennesimo sgambetto di un Cremlino decisissimo a rafforzare le proprie posizioni mediorientali a discapito di quelle statunitensi.

Ma l'inutile ricerca di alleati «moderati» sul fronte siriano e la latitanza su quello iracheno finiscono anche con il consolidare la potenza del principale

nemico dell'America. Dopo aver salvato Bashar Assad, Teheran si prepara a diventare l'alleato di ferro di Bagdad consolidando il proprio ruolo di potenza regionale e trasformando l'Iraq sciita in un proprio protettorato.

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