Politkovskaya, cinque condanne. Ma chi è il mandante?

Ergastolo per due persone. La giornalista fu uccisa il 7 ottobre 2006

Politkovskaya, cinque condanne. Ma chi è il mandante?

Carcere a vita per Lom-Ali Gaitukayev e Rustam Makhmudov. La corte di Mosca li ha ritenuti colpevoli di aver architettato e messo in atto l’uccisione della giornalista Anna Politkovskaya. In base alla sentenza letta dal giudice Pavel Melekhin sono inoltre colpevoli tutti i principali indagati: tre degli uomini erano stati assolti, ma la Corte suprema russa ha ordinato che venissero processati nuovamente. Condannati all’ergastolo Rustam Makhmudov, accusato di aver premuto il grilletto, e suo zio Lom-Ali Gaitukayev, ritenuto responsabile di avere organizzato l’omicidio. Gli altri tre condannati - due dei quali sono fratelli di Makhmudov - hanno ricevuto pene tra i 12 ed i 20 di carcere. Venti anni all’ex funzionario della polizia moscovita Serghei Khadzhikurbanov, ritenuto l’altra mente dell’omicidio.

Si tratta del terzo processo per la morte della giornalista. Nel primo, Ibragim e Dzhabrail Makhmudov e Khadzhikurbanov erano stati assolti per insufficienza di prove, Rustam era ancora latitante e Gaitukayev era stato ascoltato come teste. La Corte suprema aveva annullato la sentenza per gravi vizi procedurali. Dopo alcuni mesi, accogliendo un ricorso della famiglia della vittima, la Corte aveva sospeso il processo bis appena iniziato, inviando gli atti alla procura per unificarli con l’inchiesta sul mandante (ancora sconosciuto) e sul presunto killer, Rustam Makhmudov, che nel frattempo era stato catturato in Cecenia. In un processo stralcio, l’ex poliziotto Dmitri Pavliuchenkov, pur collaborando con la giustizia, è stato condannato a 11 anni di carcere duro per aver pedinato la vittima, partecipato all’organizzazione del delitto e fornito l’arma al killer.

Acerrima nemica di Vladimir Putin, la Politkovskaya lavorava per il giornale Novaya Gazeta (quotidiano russo d'ispirazione liberale) ed era diventata celebre per i suoi reportage e inchieste sulle violazioni dei diritti umani in Russia e in Cecenia. Fu assassinata nell’ascensore della sua casa nell’ottobre 2006. Archiviata la sentenza, resta una domanda: l'omicidio ebbe o no un mandante (politico)? In molti lo pensavano allora e continuano a pensarlo oggi.

La figlia della Politkovskaya

Dopo il verdetto di colpevolezza e le pene detentive "ora arriva la parte più difficile: portare davanti ai giudici il mandante". A parlare è Vera Politkovskaya, la figlia della reporter assassinata. "In questo momento non si può dire che il caso sia risolto, perché le persone che sono state condannate oggi a diverse pene sono state riconosciute come partecipanti al delitto, ma manca ancora il mandante", ha detto la ragazza all'agenzia Agi. "È stato un momento importante, ma un conto è far arrivare davanti ai giudici i complici, un conto le persone che hanno ordinato un delitto di questo genere. In questo senso non abbiamo e non possiamo avere alcuna garanzia né dal Comitato investigativo russo, né da qualsiasi altro organo", ha detto, auspicando che le parole del portavoce Vladimir Markin - secondo il quale verranno prese "tutte le misure necessarie" per individuare il mandante, "non rimangano parole vuote".

Come si sentiva la giornalista

In un saggio pubblicato postumo a cura del Pen American Center si capisce bene quale fosse lo stato d'animo della giornalista e la sua piena consapevolezza di essere una condannata a morte: "Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all'estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me. Eppure tutti i più alti funzionari accettano d'incontrarmi quando sto scrivendo un articolo o sto conducendo un'indagine.

Ma lo fanno di nascosto, in posti dove non possono essere visti, all'aria aperta, in piazza o in luoghi segreti che raggiungiamo seguendo strade diverse, quasi fossimo delle spie. Sono felici di parlare con me. Mi danno informazioni, chiedono il mio parere e mi raccontano cosa succede ai vertici. Ma sempre in segreto. È una situazione a cui non ti abitui, ma impari a conviverci".

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