Un processo di democratizzazione quello in Myanmar, che viene seguito con molta attenzione anche in Occidente visto le prospettive economiche che potrebbe aprire. Washington preme per affermarsi in Asia e Pechino, dall’altra parte che ostenta la propria potenza militare ed economica come mai prima; insomma, entrambi i lati fanno il possibile per contendersi la Birmania. Il presidente, l’ex generale Thein Sein ha infatti già dimostrato di volersi affrancare dallo stretto rapporto politico-economico con Pechino. La visita di Hillary Clinton a dicembre era stata un successo, per tutta risposta la Cina aveva reagito cancellando un importante contratto per la costruzione di una diga. Il governo ha fatto passi importanti per fare una buona impressione all’Occidente, facendo aperture impensabili: la liberazione dei prigionieri politici, l’allentamento della censura per i media, la legalizzazione della Lega Nazionale per la Democrazia, accordi importanti con i gruppi armati delle minoranze etniche.
Le elezioni di oggi segnano quindi uno spartiacque rispetto a più di un ventennio di repressione nel Paese che il regime ha ribattezzato Myanmar, dalla rivolta studentesca del 1988 alla «rivoluzione zafferano» dei monaci del 2007.
Ma la vera sfida inizierà dopo: il presidente potrebbe offrire ai democratici incarichi di governo, ma resta sempre il pericolo di una restaurazione come quella del 1990, quando le elezioni vinte da Suu Kyi furono annullate e fu imposta la legge marziale. Ma oggi ormai sembra sempre più evidente che il regime stia cercando di sottrarsi all’abbraccio sempre più soffocante della Cina. L’Occidente è un’ambizione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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