Se i tiranni piangono il padre dei diritti

Maduro, Mugabe e i cinesi lodano l'uomo-simbolo della libertà. Che negano nei loro Paesi

Se i tiranni piangono il padre dei diritti

Mandela che scuote le coscienze anche dall'aldilà e che concilia la storica stretta di mano tra Barack Obama e Raul Castro sotto il diluvio di pioggia che ha flagellato Soweto fin dalle prime ore. Accade anche questo nel corso della commemorazione del simbolo della lotta all'apartheid. Stati Uniti e Cuba, se si esclude un breve dialogo tra Bill Clinton e Fidel Castro nel 2000 all'Onu, avevano interrotto i rapporti diplomatici dal 1960. Miracolo al Soccer City Stadium verrebbe da dire, perpetrato dal clima di fratellanza e dall'occasione solenne, più che dalle intenzioni dei nemici giurati. «Quest'immagine potrebbe essere l'inizio della fine delle aggressioni degli Stati Uniti contro Cuba», è stato il commento pubblicato sul sito del governo dell'Avana. In serata sul portale è rimasta la foto dei due leader, ma il commento è stato rimosso, sostituito da un più soft «stretta di mano storica».

Obama nella mano ci ha messo energia, ma quando ha preso la parola ha corretto il tiro, ricordando come troppi leader nel mondo sono «solidali con la lotta di Mandela per la libertà, ma non tollerano il dissenso dal proprio popolo». Parole sbattute in faccia al presidente (eterno) dello Zimbabwe, Robert Mugabe, a quello del Venezuela Nicolas Maduro, al vicepresidente cinese Li Yuanchao, e appunto allo stesso Castro. Ha dato forfait all'ultimo momento Omar Hassan Al Bashir, leader del Sudan sul cui capo pende la condanna della Corte penale internazionale per le collusioni con i Signori della Guerra. Non ha avuto invece ripensamenti il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta, che deve rispondere dell'accusa di genocidio mossa dal Tribunale dell'Aja. Gli applausi della folla sono stati rivolti a Hillary e Bill Clinton, fischi al palestinese Abu Mazen e al presidente sudafricano Jacob Zuma. Quando annunciò in tv la scomparsa di Mandela sembrava il padre della patria, ma la popolarità di Zuma è quasi al capolinea per gli scandali e le accuse di corruzione. Sfilata di politici, artisti e belle donne. Anche l'immancabile Naomi Campbell non è stata accolta dal tripudio della folla, tutt'altro. La vicenda dei diamanti di sangue e della relazione con l'ex dittatore liberiano Peter Taylor sono un fardello che non si può chiudere in un cassetto affidandosi alla memoria corta.

Tra tutte queste note stonate alla fine il front man, nonostante la presenza di Bono Vox, è stato Obama. Con un discorso appassionato e ispirato, il leader americano ha ripercorso la vita del presidente sudafricano descritto come «l'ultimo grande liberatore del XX secolo. Un gigante come Gandhi. Grazie Sudafrica per aver condiviso con noi Mandela». L'omaggio è stato corale, perché come ha sottolineato il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon, Mandela era «un albero di baobab le cui profonde radici hanno raggiunto l'intero pianeta». Il premier italiano Enrico Letta ha parlato di «un esempio per tutta l'umanità».

I veri protagonisti sono stati però i sudafricani, la gente comune, quella che non ha smesso un solo istante di intonare il canto «Nkosi Sikelel Afrika» (Dio benedica l'Africa), nonostante membra e abiti fossero inzuppati d'acqua. Felici per la pioggia, di buon auspicio nei funerali africani.

Allo stadio erano circa in 80mila, ma almeno il triplo attorno all'impianto sportivo, e milioni in tutto il Paese. Danze, balli e preghiere che si chiuderanno solo domenica, quando le spoglie del fondatore della «Rainbow Nation» saranno tumulate nel villaggio natale di Qunu.

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