La Siria furiosa dopo i raid punta i missili contro Israele

Le vittime dell'attacco israeliano a un deposito di armi sarebbero centinaia. Damasco minaccia ritorsioni. Il magistrato Del Ponte: "I ribelli hanno usato armi chimiche"

La Siria furiosa dopo i raid punta i missili contro Israele

«Stando alle testimonianze raccolte sono stati i ribelli ad usare armi chimiche, facendo ricorso al gas sarin». Con questa dichiarazione resa commentando la seconda incursione israeliana sulla Siria in 48 ore il magistrato svizzero Carla Del Ponte ribalta la controversa questione sull'utilizzo delle armi chimiche in Siria. La dichiarazione sembra capovolgere le indiscrezioni di fonte israeliana sull'uso di armi chimiche da parte di Damasco. Le indiscrezioni avevano spinto il presidente Obama, che a sempre definito un'insuperabile «linea rossa» l' utilizzo di tali armi da parte del regime, l'ipotesi di un intervento.

Poche ore prima bombe e missili israeliani avevano colpito il centro di ricerca di Jamraya e altri due obbiettivi nascosti tra le falde del Qasioun, la montagna sul lato settentrionale di Damasco. L'incursione, la seconda in 48 ore, ha devastato il quartier generale della Quarta Divisione, l'unità d'elite di Maher Assad fratello del presidente, e il comando della Guardia Repubblicana. In quelle strutture e nei loro bunker sotterranei erano finiti i missili iraniani Fateh 110 sfuggiti all'attacco di giovedì. Per eliminare quelle testate capaci, se lanciate dal Libano, di colpire il centro di Tel Aviv lo stato ebraico ha agito con spietata determinazione. In una lettera al Consiglio di Sicurezza dell'Onu il ministro degli esteri di Damasco accusa Israele di aver causato la morte di «numerose persone» e «vaste distruzioni». Secondo le informazioni di fonte russa le vittime, in gran parte militari, sarebbero oltre quattrocento. Il pesantissimo bilancio spiega la reazione del vice ministro della difesa Faisal al Mekdad che equipara l'incursione ad una «dichiarazione di guerra». Il ministro dell'informazione Omran Zoabi sostiene che «l'azione israeliana apre le porte a tutte le possibilità». E il sito di una televisione libanese annuncia, citando fonti di Damasco, che «i missili siriani sono puntati su Israele». In tutto ciò Israele reagisce schierando le batterie anti-missile Iron Dome al confine settentrionale e chiudendo il traffico aereo nel nord del paese.

L'eventualità di una rappresaglia siriana è comunque remota. Il doppio raid arriva al termine di un'offensiva governativa, appoggiata dalle milizie sciite di Hezbollah che ha garantito l'eliminazione delle postazioni ribelli intorno a Damasco e la chiusura degli assi d'infiltrazione tra la zona di Al Quasayr al confine libanese la capitale. Una volta «ripuliti» gli ultimi nidi di resistenza intorno al confine libanese e ad Al Qusayr Hezbollah e i governativi avranno il pieno controllo dei territori usati dagli insorti per raggiungere Homs e la capitale. Proprio la riacquisizione di queste fette di territorio fa temere a Israele un imminente trasferimento dei temuti Fateh 110 agli alleati di Hezbollah. Per lo stesso motivo Damasco e i suoi alleati iraniani e libanesi potrebbero però non aver alcun interesse a lanciare una rappresaglia militare.

Offrire a Israele il pretesto per un intervento sul territorio siriano equivarrebbe a vanificare i successi e mettere seriamente a rischio la sopravvivenza del regime di Bashar Assad. Damasco, Hezbollah e Teheran sanno del resto che le guerre si combattono una per volta. Per questo, continueranno, probabilmente, ad impegnarsi nell'unica a cui non possono rinunciare. Quella contro i nemici di Assad.

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