Russia e Cina, il cui peloso zampino si vede a occhio nudo, nell'affaire Snowden, non fanno niente per nascondere la loro goduria di fronte al crescente malumore degli americani. E se questo dovesse costare una crisi nei rapporti diplomatici, che di fatto sta montando, fra i tre Paesi? Non importa. A nessun costo, dicono i giornalisti a Mosca e a Pechino, Putin e il suo omologo Xi Jinping rinuncerebbero al gusto di veder trionfare la Grande Beffa orchestrata da un giovanotto di 30 anni che ha messo in crisi prima gli apparati di sicurezza americani, e poi addirittura il governo di Washington.
Edward Snowden, la Talpa, l'uomo che gli Usa vorrebbero processare per spionaggio, è ancora uccel di bosco. Nel momento in cui scriviamo potrebbe essere a novemila metri di altezza, da qualche parte sopra le nostre teste, diretto verso il Sudamerica. Ma non è detto. Quel che è sicuro è che ieri mattina, sull'aereo in partenza da Mosca per Cuba, stipato di giornalisti che contavano di torchiarlo per bene durante un viaggio che veniva dato per sicuro, Snowden non c'era. Sicché ai fotografi non è rimasto che immortalare la poltroncina vuota del jet, perché anche la «non notizia», in questa storia, fa notizia. Snowden avrebbe preso il volo del pomeriggio, si è detto, ma forse lo ha fatto con barba e baffi finti, perché nessuno l'ha visto. La destinazione non è cambiata: l'Ecuador, che per bocca del suo ministro degli Esteri sta valutando la richiesta di asilo politico dell'ex analista che ha svelato i segreti di Prism.
Certo è un bellissimo giallo, il più bello dai tempi del caso Wikileaks e del suo profeta Julian Assange, che non a caso, dal suo romitaggio diplomatico (se ne sta all'ambasciata londinese dell'Ecuador da un anno per evitare l'estradizione in Svezia) lo ha preso sotto la sua ala, fornendogli anche copertura legale.
Fosse vivo il mitico Hugo Chavez, presidente «bolivariano» del Venezuela, non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione di dare scacco agli Usa. In sua vece è entrato in campo a gamba tesa l'Ecuador, il cui ministro degli Esteri ha fatto ieri due cose. Prima ha messo pubblicamente in discussione l'accusa di tradimento contro Snowden e ha definito la presunta sorveglianza Usa di paesi stranieri un abuso contro i diritti del mondo intero. Poi ha reso pubblica una lettera di Snowden in cui la talpa dice di essere vittima di una «persecuzione per aver reso pubbliche gravi violazioni della Costituzione americana e di vari trattati internazionali dell'Onu» da parte del governo americano. Per questo, aggiunge, ora vengo denunciato come «un traditore». Poi si paragona a Bradley Manning, la fonte di Wikileaks, e spiega di aver chiesto asilo all'Ecuador (che gli avrebbe già fornito un «passi» da rifugiato) perché ritiene «improbabile» un «processo giusto» negli Usa.
A Washington, l'irritazione cresce di ora in ora. John Kerry, segretario di Stato, non nasconde una sorda rabbia verso Mosca e Pechino. «Se fossero state informate in anticipo della fuga di Snowden gli Stati Uniti sarebbero molto turbati». Il portavoce della Casa Bianca Jay Carney è un po' più esplicito: «La Cina non ha rispettato i patti, ci sarà un impatto sulle relazioni con Pechino».
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