Il buco nero delle politiche verdi

Dubbi sui finanziamenti Ue

Il buco nero delle politiche verdi
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Sembra green ma non lo è. Secondo le conclusioni di una relazione della Corte dei conti europea, il contributo del Recovery - il principale pilastro per la ripresa dalla pandemia - all'azione per il clima e alla transizione verde non è affatto chiaro. Anzi. Semmai è molto opaco, tendente al grigio. Dei 275 miliardi messi a disposizione da Bruxelles infatti, almeno 34,5 presenterebbero problemi di compatibilità con diversi progetti etichettati come «verdi». In soldoni, ogni 100 euro elargiti dall'Europa per affrontare problematiche ambientali, almeno una dozzina finivano in progetti che con l'ecologia poco azzeccavano.

Fatto il finanziamento, trovato l'inganno. Molto ruota intorno al concetto di «coefficiente energetico» del progetto; che varia dallo 0% - impatto ambientale praticamente nullo - al 100%. Per esempio, rilevano i giudici contabili del Lussemburgo, a una misura che puntava a migliorare la gestione delle risorse idriche era stato assegnato un coefficiente del 40%. Nella realtà dei fatti, i fondi sono stati spesi per digitalizzare il sistema di approvvigionamento idrico: impatto ambientale prossimo allo 0 per cento.

Niente di nuovo sotto al sole (o al pannello solare?). Oltre al vestito bello della transizione energetica c'è ben poco: dietro a ogni parola ammantata di ideologia si nascondono come al solito sprechi e progetti irrealizzabili. Parliamo di auto elettriche e scordiamo quanto inquini produrre una batteria; sogniamo case a impatto zero senza pensare ai costi mastodontici delle ristrutturazioni.

Prima o poi servirà qualcuno che tiri una riga e metta fine al banchetto dei

fondi green: questo è sensato e si può fare, questo lo archiviamo nel cassetto dei sogni irrealizzabili. Risparmieremmo almeno tempo e polemiche. E, forse, anche qualche euro. In entrambi i casi, i cittadini ringrazieranno.

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