La sinistra e le opposizioni vanno all'attacco sul Pnrr del governo Meloni. Ma, settimana dopo settimana, le critiche appaiono sempre più pretestuose per la gestione di un progetto che l'esecutivo ha trovato già in corso d'opera e modificato, nella filosofia profonda, rispetto alle attese iniziali di contrastare lo shock economico del Covid-19. E l'immagine di un governo italiano "pecora nera" d'Europa che dalla sinistra arriva appare fuorviante.
La missione romana della task force europea guidata da Celine Gauer incaricata di supervisionare l'applicazione della Recovery and Resilience Facility nei Paesi membri e, in questo caso, di analizzare lo stato d'avanzamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) si è conclusa senza particolari rilievi riscontrati nei confronti dell'Italia. Il governo Meloni prosegue, sul solco di quello di Mario Draghi, una fattiva interocuzione con Bruxelles.
La visita di Gauer e la parallela missione a Bruxelles del Ministro degli Affari Europei Raffaele Fitto a Bruxelles hanno dato l'occasione per una riapertura della querelle sul Pnrr. La sinistra, sostanzialmente, accusa Meloni e il governo di scarsa capacità di gestione dei fondi, di aver provocato ritardi nel resto d'Europa e di portare la Commissione e Palazzo Chigi su una traiettoria di scontro. Ma è davvero così? Non sembra. Per almeno cinque motivi. Corrispondenti ad altrettante critiche pretestuose avanzate al governo.
Nessun documento condanna l'Italia
Innanzitutto, è da sfatare la notizia che vorrebbe Meloni e l'Ue in conflitto sul Pnrr e la sua applicazione. Una tesi, questa, di recente messa in campo dal segretario di Più Europa Benedetto Della Vedova, secondo il quale sul Pnrr, come sul Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) l'Italia della Meloni "prepara lo scontro con l'Ue". Facendo intendere - di conseguenza - che l'atteggiamento del centrodestra isoli Roma in Europa.
Ma di scontro è difficile parlare visto che nessun documento europeo o comunicazione ufficiale di Bruxelles condanna l'Italia. Anzi, la Commissione a cui Gauer risponde sta facendo di tutto per presentare come "costruttiva" la procedura d'interlocuzione con l'Italia. Ci sono stati confronti e diversità di vedute, ad esempio sugli stadi di Firenze e Venezia, com'è naturale che possano essercene in un progetto da quasi 200 miliardi di euro che vive nel tempo. Ma anche sul portale del progetto italiano sul sito della Commissione la comunicazione è diplomatica, attenta a riconoscere le richieste dell'Italia. E non a caso le richieste di più tempo per completare la programmazione per la terza rata da 19 miliardi di euro sono state accordate. Mentre proseguono i confronti sulle riforme per la quarta e la quinta rata.
Il ritardo è sempre relativo
Più recentemente, al coro dei critici si è aggiunta anche la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, che ha detto che i "ritardi preoccupano" e accusato il governo Meloni di mettere a rischi i finanziamenti di alcuni progetti, ivi compreso quello ritenuto centrale sugli asili nido.
Ora, che delle criticità nella messa a terra dei progetti esistano è chiaro. Ma difficilmente poteva accadere in un contesto che vede l'Italia di fronte alla necessità di rafforzare una pubblica amministrazione deficitaria nei numeri e nelle competenze. I ritardi esistono sulla promozione della spesa diretta, non sull'accesso ai fondi e sull'erogazione. E comunque parliamo di un piano di 192 miliardi di euro in cui l'Italia sovraperforma rispetto a molti big europei. OpenPolis nei suoi dati ricorda che il governo ha speso 25,7 miliardi di euro fino ad ora, pari al 13,4% del totale. Ma la Commissione Europea nel suo portale Scoreboard, che mostra l'avanzamento dei Pnrr d'Europa, segnala che l'Italia ha ottenuto già a disposizione 66,89 miliardi di euro in progetti, il 34,83% di quelli messi a disposizione.
Per la precisione, parliamo di 28,95 miliardi di euro di finanziamenti a fondo perduto, il 42% del totale, e di 37,94 miliardi di euro di prestiti, il 30,94%. In un contesto in cui il picco di spesa si avrà nel 2024-2025, unici anni nei quali si potrà parlare o meno dei ritardi. L'Italia è davanti alla Francia, che ha chiesto il 31,48% dei fondi assegnati. Sovraperforma anche la Germania, all'8,54%. Mentre l'Olanda non ha ancora attivato alcun progetto. Tra i big europei, siamo secondi solo alla Spagna. La quale ha scelto di non attivare prestiti e si è focalizzata sugli aiuti a fondo perduto, sbloccandone per ora 37,04 miliardi su 69,51 che costituiscono il suo piano, pari al 53,28%. Parlare di "ritardi" è dunque assai relativo. Cosa più importante, Madrid e Roma sono le uniche capitali ad aver già richiesto l'adesione alla terza rata.
Il tema costi e il silenzio sui rincari
Schlein affonda, dunque, ma la sua critica si scontra con la necessità di valutare a tutto campo il Pnrr. E l'attacco sugli asili nido appare fuorviante, dato che Meloni ha sempre dichiarato la sua volontà di spendere fino all'ultimo euro del Pnrr.
Peraltro il piano sugli asili è uno di quelli che può sottrarsi nel breve periodo alla principale problematica che affligge i progetti del Pnrr e che spesso la sinistra dimentica nelle critiche: il nodo dei rincari e nell'inflazione. L'inflazione in doppia cifra cumulata in due anni dall'avvio del Pnrr ha oggi ha di fatto "bruciato" in termini di valore reale quasi 20 dei 192 miliardi di euro dell'erogazione iniziale. Unendosi al fronte energetico accelerato dalla guerra russo-ucraina, questo ha reso il Pnrr in termini relativi molto più costoso. Da qui la necessità di chiedere modifiche che - peraltro - vanno di pari passo con l'emergenza energetica apparsa come prioritaria nel 2022 e con l'adeguamento del Pnrr ai rincari.
Terzo tema chiave è il rifiuto della sinistra di dare anche una minima sponda al governo sul fatto di dover affrontare un Pnrr colpito da inflazione, caro energia e tensioni globali. Una minaccia sottolineata anche in un discorso al Massachusetts Institute of Technology, di recente, da Mario Draghi. E che i progressisti si ostinano a negare.
La Corte dei Conti e il mito del "golpe" sul Pnrr
Quarto punto fondamentale è l'attacco che la sinistra ha mosso al governo sul fronte della revisione dei controlli, contenuta nel Decreto Pa. L'ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha parlato di "tratti illiberali" per la riforma dell'attività della Corte dei Conti sul Pnrr. Si passerà, in futuro, da un controllo previsionale sulle spese ex ante alla verifica ex post da parte del garante delle spese sull'operatività di progetti che sono parcellizzati tra amministrazioni centrali, enti locali, partecipate pubbliche e enti di vario tipo.
Ma in realtà non c'è alcuna volontà di mettere a tacere i controlli ed eventuali appunti. La riforma, piuttosto, può efficientare i controlli togliendo alla Corte lacci e lacciuoli che possono frenare la verifica sull'effettiva messa a terra dei progetti. Cioè sul flusso reale dei soldi verso le attività produttive, ciò che davvero conta. Del resto, questa è l'idea anche di Sabino Cassese, giurista e decano della pubblica amministrazione italiana, per il quale "i controlli non possono essere fatti a tappeto, ma devono essere fatti per campione" mediante "ispezione in profondità delle attività da controllare". Controllare meglio, in termini qualitativi, impone una campionatura: è un metodo delle scienze naturali che ben si applica anche ai processi giuridici e amministrativi. E del resto, sul fronte della sinistra lamentarsi dei ritardi da un lato e dell'ottimizzazione dei tempi burocratici dall'altro è quantomeno contraddittorio.
Pnrr e fondi complementari, dove vanno i progetti
Sul fronte delle modifiche, infine, di recente ha fatto discutere l'idea che il governo possa togliere dal Pnrr alcuni investimenti, soprattutto di carattere ferroviario, per non incorrere nella tagliola dello stop ai finanziamenti. Di recente a tal proposito a affondare dal fronte progressista è stata Repubblica, accusando il governo di mandare alcuni progetti sull'alta velocità ferroviaria come la Roma-Pescara e la Palermo-Catania su "un binario morto". A cui si aggiungono le proposte rimozioni dei lavori sulle tratte Caltanissetta-Lercara ed Enna-Caltanissetta.
Tutto questo - ha spiegato il quotidiano di Maurizio Molinari - "proprio mentre il governo vuole rilanciare il Ponte sullo Stretto". Come a dire che il governo è incoerente nella scelta di piani e progetti e sacrifica l'essenziale per nuovi progetti campati in aria. Ma la realtà dei fatti è che questi progetti saranno tolti dal Pnrr proprio per evitare la "tagliola" del 2026, data ultima di fine delle opere del Pnrr, e ricondurli nell'alveo dei fondi europei di coesione e delle politiche complementari, non sottoposte a vincoli di tempo tanto stringenti. Così da metterle al sicuro da un lato e non sprecare i fondi dall'altro. Un meccanismo che se riuscirà sarà win-win.
E ricorda come il Pnrr sia un progetto in continuo divenire, in cui spesso sono richiesti compromessi di questo tipo. Da capire, prima che stigmatizzare. Come troppo spesso sembra fare una sinistra in cortocircuito sulle mosse del governo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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