Sinistra anti-Ue a sua insaputa

Siamo al paradosso che una parte della destra europea, sempre tacciata di anti-europeismo, appaia più in sintonia con l'attuale sentimento prevalente a Bruxelles di una certa sinistra che si è sempre ammantata di retorica europeista

Sinistra anti-Ue a sua insaputa
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Sarà perché starà cambiando l'Unione, o perché l'agenda della sinistra ha bisogno di un rapido corso di aggiornamento, di un bagno di realtà, ma si ha sempre più la sensazione che coloro che si consideravano i depositari del verbo europeo si ritrovino sempre più spiazzati dal dibattito, dal confronto che si svolge a Bruxelles e a Strasburgo. Non si tratta di fatti secondari, ma delle premesse di un possibile cambio di bussola. L'uscita della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a favore del centro italiano per i migranti clandestini costruito in Albania non è argomento di poco conto; come pure l'impegno a studiare meccanismi giuridici in sede europea che facilitino i rimpatri. Ed ancora, il confronto sulla crisi dell'automotive che rifiuta sempre più un'impostazione draconiana sia sulle multe alle aziende che non rispettano la scaletta dei tempi per il passaggio dal motore a scoppio all'elettrico, sia sulla data dell'abbandono finale del 2035, dimostra che i costi sociali dell'operazione stanno suggerendo un approccio più realistico e pragmatico di quello propugnato fino a ieri dalla sinistra e dai verdi. Per non parlare dell'aumento delle spese militari: ormai con la guerra in Ucraina e con l'avvento di Trump negli Usa è sempre maggiore il numero dei Paesi europei che lo considerano, a cominciare dalla Svezia che è stata per secoli neutrale, quasi un obbligo.

Insomma, siamo al paradosso che una parte della destra europea, sempre tacciata di anti-europeismo, appaia più in sintonia con l'attuale sentimento prevalente a Bruxelles di una certa sinistra che si è sempre ammantata di retorica europeista. Il baricentro del comune sentire del vecchio continente, assecondato dai popolari, si è spostato più sul centrodestra, lasciando ai margini la destra più estrema ma nel contempo mettendo in ambasce quella sinistra che persevera nello sposare posizioni ideologiche e radicali.

È un processo che finirà per pesare pure nel dibattito italiano. Al di là delle «macumbe» dell'opposizione verso il governo e i duelli rusticani tra la premier e Matteo Renzi («sta facendo cose brutte verso di me, al limite», accusa l'ex premier). E la ragione è semplice: siamo alle prese con due guerre, la congiuntura economica potrebbe diventare complicata e non si voterà fino al 2027. Per cui la maggioranza dovrà governare passaggi difficili e l'opposizione aggiornare o almeno registrare alcune posizioni programmatiche per non restare tagliata fuori in Europa.

I protagonisti più attenti lo hanno capito. «Non ho condiviso alcuni toni duri - ha confidato il sottosegretario Alfredo Mantovano, eminenza grigia di Palazzo Chigi a proposito del dibattito di ieri in Senato sul prossimo Consiglio europeo - ma mi è piaciuto il piddino Alessandro Alfieri, varrebbe la pena confrontarsi. Non si può restare bloccati su impostazioni ideologiche quando anche in Europa le posizioni cambiano. Ecco perché sarebbe opportuno trovare dei momenti di confronto lontano dai riflettori con l'opposizione più avveduta. Nel Copasir, dove non c'è pubblico, succede».

Un ragionamento che trovi anche sull'altro versante. «A sinistra dovremmo aggiornare il nostro punto di vista su alcuni temi - ammette, appunto, Alfieri - proprio per scoprire il vuoto di proposta che c'è dall'altra parte. Dovremmo farlo noi riformisti». E che ci sia bisogno di un aggiornamento programmatico lo ammettono anche personaggi del calibro di Graziano Delrio. Spiega a proposito dell'automotive: «Io sono sempre stato per la neutralità tecnologica non per l'opzione elettrica quando partecipavo da ministro al Consiglio Europeo. Poi però decideva l'asse franco-tedesco. Detto questo non accetto che la Meloni si proponga come europeista e ci descriva come anti-europeisti, che citi non dico De Gasperi ma addirittura Moro in polemica con noi».

Già, pesa quella strana sensazione di aver perso l'esclusiva, scotta su chi ha sempre considerato il vessillo europeo roba sua. Ormai il mondo cambia troppo in fretta per lasciare a chicchessia delle posizioni di rendita. O ti aggiorni di fronte ai problemi che incombono, sostituisci l'ideologia con un pizzico di pragmatismo, o sei fuori. Vale per tutti se addirittura uno spauracchio come Trump può avere una funzione europeista.

«Con il nuovo presidente americano - chiosa Mantovano - conta poco la retorica, contano i fatti. Il do ut des. A cominciare dalle spese militari. E forse potrebbe essere proprio lui a dare la spinta decisiva per costringere l'Europa ad assumersi le sue responsabilità e ad avere il ruolo a cui aspira nel mondo».

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