C'era una volta una leggenda nera che avvolgeva La forza del destino, il capolavoro di Giuseppe Verdi che torna a inaugurare la stagione 2024/25 del Teatro alla Scala, 59 anni dopo la sua ultima apparizione come opera inaugurale. Il melodramma in quattro atti fu ricavato dal librettista Francesco Maria Piave da una sanguinante tragedia romantica del drammaturgo, pittore e politico spagnolo Angelo Pedro de Saavedra, duca di Rivas. Un'opera che impegnò Verdi a lungo, dalla composizione al tempo dell'entusiasmo per il primo parlamento a Torino, dove Verdi sedeva chiamato dell'ammirato Cavour, sfociato nella prima versione, rappresentata al Teatro imperiale di San Pietroburgo nel 1862, alla versione rivista per la Scala di Milano nel 1869. Mentre la storia patria inanellava l'impresa dei Mille, la breccia di Porta Pia, Roma capitale, il ritorno di Venezia all'Italia, il «patriota» Verdi sprofondava nel pessimismo delle speranze presto disattese.
Se si guarda la cronologia della Forza del destino al Teatro alla Scala, dopo tre edizioni governate da Verdi a seguito della versione definitiva del '69, cala il silenzio. Passarono trent'anni perché Arturo Toscanini riportasse la Forza nel 1908, e altri venti perché entrasse stabilmente nel repertorio dell'ente autonomo scaligero con le grandi voci degli anni Venti. Il direttore d'orchestra Fritz Busch ricorda nelle sue memorie che Toscanini sbarcò a Dresda all'improvviso per ascoltare La forza del destino che a quell'epoca (1923) «era completamente dimenticata in Germania». E aggiunge che Toscanini gli disse quanto in Italia «l'opera era stata sempre problematica ogni volta che l'aveva diretta. Gli italiani credevano avesse il malocchio e al solo suo nome facevano scongiuri per proteggersi». Mentre i due artisti discutevano «entrò Georgi, il tuttofare del teatro e mi annunciò: Signor Direttore generale della musica, oggi non ci sarà Forza del destino perché la signorina Meta Seinemeyer è malata. Faremo al suo posto Elena egizia. La sfortuna. Allora perché incrociare le dita?». Leggendo il recente comunicato ufficiale che il tenore Jonas Kaufmann, il Don Alvaro previsto, aveva dato forfeit «per motivi familiari» con la sequela di formule di rito per il sostituto che prende il suo posto (Brian Jadge), non pochi avranno rispolverato la nomea jettatoria. Una fama che si alimentava a posteriori di episodi come la morte sulle scene della Metropolitan Opera di New York del famoso baritono americano Leonard Warren nel 1960. Verdiano molto apprezzato, durante il terzo atto, il quadro della guerra che si svolge in Italia, presso Velletri, dopo la scena che comincia con le fatali parole, Morir? tremenda cosa, Warren si accasciò al suolo, esanime, fra la costernazione generale.
L'amore fra i protagonisti, Donna Leonora e Don Alvaro, è nato sotto il segno della sventura. Il «mulatto» Alvaro, sorpreso nel Prologo dal marchese di Calatrava mentre cerca di rapire la sposa negata, lascia cadere l'arma che ha in mano: il colpo che parte uccide il marchese che maledice la figlia. I promessi si separano perseguitati per ogni dove dal fratello di Leonora, Don Carlo. Il vendicatore scova nell'ultimo atto la sorella che si è fatta eremita in una spelonca e costringe Alvaro, anch'esso fattosi monaco all'insaputa di tutti e nello stesso convento, a un duello. Carlo, ferito a morte da Alvaro proprio davanti alla grotta di Leonora, viene soccorso dalla sorella accorsa al suo capezzale, ma non perdona e la uccide prima di tirare le cuoia. Ad Alvaro, travolto dal sangue dei Vargas, che ritrova l'amata morta, non rimane che gettarsi dal dirupo. Quel finale ingombro di cadaveri che fa rizzare la pelle non convinse Verdi che sette anni dopo tolse il Preludio e scrisse la celebre Sinfonia e rifece il finale, sopprimendo il suicidio di Alvaro.
Per i versi, Verdi essendo Piave gravemente infermo, ricorse ad Antonio Ghislanzoni, che scrisse un terzetto fra Leonora morente, Alvaro pentito e il Padre Guardiano benedicente. Dal nichilismo si passò alla luce manzoniana, anche perché il Ghislanzoni si ricordò di Ermengarda morente nell'Adelchi: «E al dio de' santi ascendere/ santa del suo patir».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.