Come evitare il secondo infarto

Lo studio Gospel evidenzia gli alti rischi cui vanno incontro i pazienti cardiopatici che interrompono le cure

Quest’anno la Giornata mondiale per il cuore (24 settembre) sarà un grande appuntamento per gli italiani. Saranno «aperti» infatti tutti i reparti di cardiologia, ospedalieri e universitari.
Nel corso del suo recente congresso (il trentasettesimo) l’Associazione medici cardiologi ospedalieri ha presentato i risultati d’uno studio clinico, chiamato «Gospel» e condotto su 3.241 pazienti(età media 57 anni) che avevano subito un infarto del miocardio nei tre mesi precedenti. Questi soggetti, una volta dimessi dall’ospedale, avevano in maggioranza disatteso le terapie loro prescritte dai cardiologi: in sessanta casi su cento avevano interrotto le cure.
Questo studio (tutto italiano) dimostra che non bastano le Unità coronariche, non basta l’impegno dei cardiologi, se i soggetti sopravvissuti a un infarto abbandonano le terapie loro prescritte. Si espongono così (e lo sanno) al rischio di un secondo infarto: rischio dimezzato, invece, in coloro che rispettano le prescrizioni, si sottopongono a controlli clinici programmati, mangiano in modo sano, si pesano spesso ed evitano di fumare. Quest’ultimo «comandamento» è il meno rispettato.
«L’infarto può essere una spinta a cambiar vita se la fase successiva all’evento viene gestita bene dal paziente e dal cardiologo che lo ha in cura» ha sostenuto in sede congressuale il dottor Giuseppe Di Pasquale, presidente uscente dei cardiologi ospedalieri italiani. Il dottor Francesco Chiarella, nuovo presidente di questa importante associazione (che conta 5.200 iscritti) ha insistito sulla necessità di non «abbandonare» il paziente scampato a un infarto. «Una chiacchierata non basta - ha spiegato -. Al contrario, ci vuole un impegno costante, con la volontà di creare un rapporto d’amicizia che favorisca il rispetto dei programmi».
I cardiologi ospedalieri, partendo dalla considerazione che otto infarti su dieci avvengono tra le mura domestiche, hanno anche elaborato un «progetto di assistenza» riservato ai familiari, perché sappiano come comportarsi se un loro parente viene colpito da infarto. Non è trascurabile la considerazione che quarant’anni fa la mortalità per infarto era del 50 per cento. Oggi invece è del 5 per cento. In Italia sono attivi dodicimila cardiologi. Ai 5.200 che svolgono attività ospedaliera si aggiungono i 2.700 cardiologi universitari che fanno parte della Sic, Società italiana di cardiologia, presieduta dalla professoressa Maria Grazia Modena, e quelli di altre undici società scientifiche.

La Federazione italiana di cardiologia (Fic) presieduta dal professor Attilio Maseri, cattedratico nell’Università Vita Salute di Milano (ospedale San Raffaele) è l’organo rappresentativo della cardiologia italiana in tutto il mondo.
La Giornata mondiale per il cuore vedrà impegnati in un’opera di divulgazione e di persuasione tutti i cardiologi italiani. Il professor Maseri sarà alla testa di questa utilissima «crociata».

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