Roma - La nostra presenza militare in Afghanistan? «Non è in discussione, ma occorre riflettere». Le fibrillazioni sul welfare che lo aspettano in patria? «Possibile e doveroso trovare un accordo». Le polemiche sull’Iran? Auspicabile «un negoziato serio ed ampio». Romano Prodi si fodera di gommapiuma per il suo arrivo ad Abu Dhabi e fa involontariamente il verso all’amico-avversario Veltroni. Se quello, crozzianamente, si spende per risolvere i problemi «pacatamente, serenamente», il presidente del Consiglio si spinge più oltre e rivela di guidare un esecutivo pronto a mediare per secoli: «il mio - annuncia - è il governo della pazienza...».
Nella penisola pare ce n’abbiano in pochini, ormai. Proprio Veltroni, il difficile coequipier ulivista, grida che occorre portare l’Italia «fuori dal tunnel»; Bertinotti, minaccioso, fa capire che sulla legge elettorale non ammetterà mai «inciuci» di nessun genere. Persino sulla violenza sessuale ci si lacera a sinistra. Ma al Professore le grida non arrivano. È quasi una situazione paradisiaca quella che presenta agli interlocutori che lo aspettano nel Golfo per la visita ufficiale da tempo programmata. E a chi tenta di fargli osservare che proprio Veltroni dice che se non si trova intesa sul welfare occorrerà tornare al protocollo, si affretta a replicare, dolce: «Un accordo lo si troverà. Mai confondere discussioni con fibrillazioni. E poi, le nostre discussioni son giochi da bambini rispetto a quelle dell’opposizione».
Si consola con poco, il premier. Che, per dar maggior valenza alla sua disanima, si spende invece a lungo sul fatto che Berlusconi «si è messo da solo nei pasticci, gridando tanto “al fuoco, al fuoco!” senza però che bruciasse la casa del centrosinistra visto che non era infiammabile...». Strano si sia concesso di parlare della situazione in Italia, visto che spesso quando si trova all’estero rifiuta ogni dialogo in materia accampando la sua veste internazionale. Qualcuno ha pensato che, avendo accettato il commento di politica interna, dimostrasse più che un pizzico di preoccupazione per quel che evolve, tanto sul welfare che sulle spedizioni militari italiane all’estero, tasti su cui preme con sempre maggior forza la sinistra radicale. Possibile. Anche perché, tanto sull’Afghanistan che sulla missione in Libano si è dilungato, alternando un pizzico di bastone e molta carota in un frullato ambiguo. Così se il permanere dei nostri militari a Kabul «non è in discussione» visto tra l’altro che l’offensiva dei terroristi non è contro l’Italia ma «soprattutto contro il popolo afghano», Prodi viene comunque incontro a Bertinotti e ai suoi, che il giorno della morte del maresciallo Paladini avevano invitato alla riflessione, chiarendo che sicuramente «occorre riflettere su una strategia politica di lungo periodo in quel paese». Così come, rispetto alla sempre più difficile situazione libanese, il premier ha rivendicato a sé «la scelta non facile» della missione, che non era «scelta tampone» dopo l’intervento israeliano in seguito agli attacchi degli hezbollah, ma «un impulso per restituire speranza al popolo libanese».
Insomma per Prodi, meglio le cose non potrebbero andare. Polemiche interne, difficoltà internazionali, economia in calo sono cose da affrontare con calma.
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