Il fallimento dell'inciucio neocentrista

Umberto Bossi ha detto che Romano Prodi durerà per cinque anni. Più uno scongiuro che una previsione. In realtà tutti quelli che danno per scontata la caduta del governo e si preparano alla successione sono in corso di posizionamento. In questo senso vanno lette le mosse di esponenti confindustriali, già molto sbilanciati a favore del centrosinistra nelle elezioni di aprile e ora ansiosi di non essere tagliati fuori dai prossimi scenari. E quando Massimo D’Alema utilizza (sciaguratamente) grandi questioni internazionali per condizionare la politica interna (nel caso concreto si butta a sinistra per poi manovrare al centro) indica che la situazione politica è alla vigilia di un’accelerazione. Nella sua ultima intervista, Pierferdinando Casini fa ancora un po’ da sponda al disperato tentativo del Corriere della Sera di escludere Silvio Berlusconi dal gioco politico.
Ma le parole casiniane cominciano a delineare una direzione nuova. Sulla legge elettorale, finiti i flirt con Prodi, si ragiona su una posizione comune del centrodestra. L’idea di escludere dai giochi la Lega Nord per aumentare il peso politico dei centristi non ha portato da nessuna parte. I leghisti hanno dimostrato che non è possibile schiacciarli sull’estrema destra e che quando vogliono possono avere rapporti da Prodi ai ds.
La convergenza, poi, con la Lega è l’unico modo che Casini ha per difendere un’impostazione proporzionalistica del sistema elettorale. Ma tornare indietro richiede una riflessione strategica assai ampia a Casini e ai suoi. Il sogno durato un minuto di una formazione centrista che condizionasse il sistema italiano va messo in soffitta. Clemente Mastella considera, d’intesa con Marco Follini, l’Udc un nemico più che un possibile alleato. Francesco Rutelli, con i suoi sostenitori confindustriali in ritirata, non ha un peso politico consistente. Nella stessa Chiesa si riflette sul fatto che favorire troppo spregiudicatamente l’Udc può preparare pericolose sorprese come le sortite laicizzanti di Gianfranco Fini. Leggendo l’Avvenire si ha la sensazione che un certo tifo per l’Udc si è stemperato.
La strategia dei centristi richiedeva una durata di alcuni anni di Prodi, per ristrutturare il centrodestra se non riclassificare il sistema politico italiano. Questi tempi paiono proprio non esserci. Alla fine non è detto che la prospettiva di un partito unico dei moderati, che sull’esempio del Partido popular spagnolo unifichi destra e centro italiano con destinazione Ppe, non dovrà essere discussa dall’Udc con meno sufficienza di quella usata sinora. L’idea di abolire il ruolo di regista di Silvio Berlusconi naturalmente non regge. C’è una questione psicologica non superabile. La stragrande maggioranza dell’elettorato del centrodestra considera l’ex premier l’unica garanzia di autonomia della coalizione. Però non è impossibile definire un governo del centrodestra maggiormente fondato sulla partecipazione politica e meno sulle direttive dall’alto. Condizione imprescindibile per una vera adesione dell’Udc a un processo di unificazione del centrodestra.

E d’altra parte non si può non ricordare la preziosa funzione di un ceto politico esperto come quello centrista in una nuova ristrutturata forza di centrodestra: le crisi ricorrenti del centrosinistra (da Napoli a Genova, solo negli ultimi mesi) hanno bisogno di personale politico capace di parlare ad aree centrali della società italiana. Non va scordato che due grandi sindaci moderati come Giorgio Guazzaloca a Bologna e Elvio Ubaldi a Parma hanno stabilito rapporti con il centrodestra anche grazie all’Udc.

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