Falsi vigili urbani svaligiano gioielleria: colpo da 5 milioni

Via della Spiga. La banda di superprofessionisti ha rapinato Scavia, uno dei marchi più noti dell’oreficeria

Un colpo studiato nei minimi particolari e portato a termine con freddezza e «professionalità». Hanno agito senza sbavature i tre banditi che hanno immobilizzato i dipendenti della gioielleria Scavia e svuotato le casseforti fuggendo con un bottino milionario. «Il lavoro di una vita» dice Fulvio Maria Scavia, terza generazione di artigiani orafi.

Ore 9, quadrilatero della moda via della Spiga 9, angolo con via Sant’Andrea, arrivano i primi due dipendenti della Scavia, gioielleria che si sviluppa su tre piani: seminterrato, piano strada e primo piano. Entrano attraverso il portone del 7. Salgono al primo piano ma appena aprono la porta arrivano due uomini, barbe e baffi finti, occhiali da sole con addosso una divisa «Li abbiamo scambiati per ghisa» diranno poi le vittime. I due spianano le armi e spingono dentro gli impiegati, poco dopo arriva il terzo complice in borghese. Sanno che altri due dipendenti entreranno dall’ingresso del negozio al pian terreno, li aspettano e li bloccano uno dopo l’altro. Come sanno che manca ancora il direttore. «Oggi arriverà più tardi del solito» si sentono rispondere.

I rapinatori, informati sulle misure di sicurezza chiedono dove si trova il sistema di video sorveglianza e tolgono la memoria. Quindi si fanno consegnare i cellulari, minacciano con accento meridionale gli impiegati «sappiamo dove abitate». A uno legano una finta bomba alla gamba. Ma nel contempo li rassicurano «state tranquilli che nessuno si farà male». Si fanno consegnare le chiavi per aprire alcune casseforti, di altre invece attendono l’apertura a tempo, altro particolare noto ai banditi. Nessuno da fuori vede nulla: la gioielleria, come altre nel Quadrilatero, tiene molto alla riservatezza e ha le vetrine (una su Sant'Andrea, due su via della Spiga) chiuse da pannelli per impedire di sbirciare dentro. L’ingresso è «a elle» per precludere lo sguardo da fuori. Poco dopo le dieci tutti i forzieri sono aperti e svuotati. I rapinatori portano i quattro nel seminterrato, li rinchiudono, ma non a chiave, in un locale, e se ne vanno. Gli impiegati attendono qualche minuto ancora quindi salgono e chiamano la questura.

Gli uomini dell’antirapine sentono le vittime e cercano i filmati delle telecamere in zona. La scientifica va a caccia delle tracce, anche se non dovrebbe trovare impronte digitali: i banditi hanno agito con i guanti. Fuori nessuno ha visto nulla, nemmeno i quattro vigilantes dell’Ivri che montano la guardia all’intero quadrilatero dalle 6 alle 22. Né Lorenzo Gerardi, 60 anni, il «custode» della via, che in questi giorni non ha mai notato niente di sospetto, cioè banditi appostati per i necessari sopralluoghi. Ingente il bottino, non meno di cinque milioni, anche a fine inventario potrebbe salire di parecchio.

«Il lavoro di una vita, siamo assicurati ma non so se tutto è coperto. E in ogni caso ferma il lavoro del negozio. Sono pezzi univi, disegnati da me e realizzati dai miei artigiani» commenta dagli Stati Uniti, Fulvio Maria Scavia, terza generazione di orafi.

Una dinastia fondata da nonno Domenico, arrivato a Milano da Alessandria nel 1923, proseguita da mamma Sara. La famiglia attualmente guida un piccolo impero con cinquanta dipendenti, tra laboratorio e negozi, con punti vendita a Bangkok, Tokyo, Mosca, Dubai, San Pietroburgo, Kiev, Antille Francesi, Istambul e Taiwan.

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