Il falso problema della 194

Ha ragione Stefania Prestigiacomo quando dichiara di prendere atto con piacere che non si vuole cambiare la legge 194 sull'interruzione volontaria della gravidanza. Devo dichiarare con franchezza che a me tutta questa agitazione intorno all'aborto appare inutile, strumentale e pretestuosa. È inutile dal momento che non c'è alcuno che a viso aperto dichiari di volere abrogare o cambiare la legge vigente, sia coloro che al momento dell'approvazione l'hanno appoggiata sia quanti l'hanno avversata. È strumentale perché chi si agita per nuove iniziative, per distinguere la legge dal suo funzionamento e per pronunciare fatwe in un senso o un altro, ha spesso come obiettivo la cattura di una porzione dell'elettorato, cosa assai poco commendevole. Pretestuosa perché i credenti cattolici e gli scettici laici, le vecchie femministe o le nuove ex femministe parlano sempre presumendo di interpretare l'universo dei loro simili - ...«noi cattolici»... «noi laici»... «noi donne»... «noi femministe»... - come facevano i vecchi comunisti che parlavano sempre in nome e per conto della classe operaia.
La verità è che la decisione di interrompere la gravidanza è sempre qualcosa che drammaticamente attiene alla coscienza, e solo alla coscienza individuale, quindi al sistema di valori, di credenze e di lealtà a cui ogni persona, uomo o donna, fa riferimento. Lo Stato e il potere pubblico in generale, non possono e non debbono andare al di là della fissazione dei limiti e delle regole entro cui può essere compiuta una scelta così tremenda. E la legge 194 con le relative modalità di attuazione non è stata la trasposizione legislativamente ideologica del modo di sentire di un particolare gruppo politico, religioso e culturale, bensì il risultato di una mediazione dei diversi sentimenti e delle diverse culture coesistenti nella comunità nazionale.
Questa legge sull'aborto è dunque il risultato legittimo di una maggioranza parlamentare, consolidata dalla resistenza ad alcuni referendum abrogativi richiesti da diversi e avversi gruppi politici. Svegliarsi all'improvviso per mettere in questione la legge, sia pure in termini teorici, oppure per proporre un'inchiesta sul suo funzionamento, che in questa fine legislatura si risolverebbe solo in un ring propagandistico, significa rompere, questa volta sì, la pace civile e religiosa del Paese.
Né mi pare che abbia alcun senso della realtà la proposta di immettere dei volontari per assistere le donne. Questi volontari non sarebbero altro che dei militanti morali, tutti presi dal loro sacro fuoco religioso della difesa della vita o dalla altrettanta accesa passione del diritto della donna a scegliere. Il loro contributo non potrebbe che complicare la decisone della donna in un senso o nell'altro e quindi approfondire il dramma della scelta solitaria. È opportuno che accanto a chi per qualsiasi motivo si avvicina a un momento così difficile vi siano solo sperimentati e rigorosi professionisti sanitari e psicologici, e non militanti morali che discettano di quello che per loro è bene e male, giusto e ingiusto, legittimo e illegittimo.
E sarebbe anche ora di smettere di utilizzare il lessico fasullo che contrappone i cosiddetti «antiabortisti» agli abortisti. È solo una questione di buon senso ribadire che non esistono gli abortisti, vale a dire coloro che ritengono l'interruzione volontaria della gravidanza un bene, un diritto assoluto o anche una astratta conquista di civiltà. Quel che ha rappresentato un grande passo avanti degno di un Paese civile, tollerante e umano è stato il passaggio dall'aborto clandestino, effettuato in tremende condizioni sanitarie, psicologiche e giuridiche, alla pratica legittima effettuata sotto controllo e con garanzie sociali.
Lo stesso problema della pillola Ru486 che sembra accendere, a me pare ancora una volta pretestuosamente, il dibattito più politico che medico-sanitario, non può essere affrontato se non con il criterio di ciò che rende più o meno dolorosa e più o meno traumatica l'interruzione della gravidanza, una volta che la donna abbia compiuto la sua scelta con piena coscienza, conoscenza, sentimento e ragione.

E mi farebbe ridere se non avesse un lato per così dire sadico, la pretesa di quanti indicano nella sofferenza della donna - e più in generale dell'uomo - un valore da preservare nella storia dell'umanità.
m.teodori@agora.it

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