Woke è una parola entrata nell'uso comune ma come potremmo definire con esattezza il suo significato? Prendiamo in prestito la risposta da Woke fiction. Comment l'idéologie change nos films et nos séries (Le cherche midi) di Samuel Fitoussi, editorialista del quotidiano francese Le Figaro: «Il militante woke è colui il quale crede che il razzismo, la misoginia, la transfobia e l'omofobia siano onnipresenti in Occidente, e rappresentino il fatto sociale più importante della nostra epoca». Il privilegio non è legato principalmente alla condizione economica ma al colore della pelle, al sesso, all'orientamento sessuale.
Il militante woke non si limita a individuare le meccaniche dell'oppressione ma applica un paradossale razzismo al contrario, a suo dire virtuoso. Per questo chiede trattamenti differenziati, anche dal punto di vista legale, per ogni categoria o minoranza.
Da un punto di vista della libertà, è una corsa vertiginosa verso l'abisso. Il ruolo dell'individuo è subordinato e schiacciato dalla appartenenza a un gruppo. Come rimedio, si attribuisce allo Stato il potere di discriminare e premiare le categorie che finiscono spesso con l'essere quelle elettoralmente più convenienti alla maggioranza di turno.
Il privato è politico. Il libero arbitrio è un inganno. La classe dominante agisce sempre per mantenere il privilegio. La classe dominata accetta sempre la servitù. L'ingegneria sociale è necessaria al fine di correggere questi comportamenti automatici. Fa parte di questo progetto anche la conquista e la revisione dell'immaginario collettivo attraverso un controllo serrato della cultura in tutte le sue forme. Si censurano i classici della letteratura. Si manganellano, per ora solo verbalmente, gli artisti (registi, scrittori, pittori) che non accettano ordini dalle cerchie «illuminate» dal politicamente corretto. I personaggi storici sono giudicati e condannati da grotteschi tribunali woke.
Il saggio di Fitoussi, appena uscito in Francia, prende in esame il lato pop di questa battaglia a parole progressista, nei fatti retrograda. Da tempo ci siamo accorti che qualcosa non quadra nelle serie tv e nei film. Hollywood e il mondo dei servizi in streaming, da Netflix in poi, hanno stipulato una alleanza con la cultura woke. Non si tratta solo di evitare guai e contestazioni. È qualcosa di più profondo e pericoloso. Di fatto, l'alleanza non riguarda solo i colossi dell'intrattenimento ma il mondo delle grandi corporations quasi per intero. Chiediamoci perché. Le risposte, tra quelle disponibili, non sono delle migliori. In nome del progresso, ci trasformiamo in una massa di consumatori indifferenziati. Perché fare prodotti per uomini e per donne? È uno spreco. Meglio promuovere la fluidità sessuale. Forse è anche peggio. Il grande capitale ha trovato il suo alleato naturale nella politica di sinistra. Entrambi si reggevano su una visione del mondo esclusivamente materialista. Entrambi avevano lo stesso nemico: l`individualismo del borghese. La piccola imprenditoria è conservatrice, un freno al progresso. La grande imprenditoria, invece, vuole il progresso, il progresso che le fa comodo, beninteso: la semplificazione del mercato in nome delle economie di scala. E se ci va di mezzo l'uomo? Amen.
L'arte non ci deve descrivere o ispirare: ci deve educare. Facciamo qualche esempio. Il finale della Carmen di Bizet, in alcune edizioni, viste anche in Italia, è stato riscritto: la protagonista non viene uccisa perché non si può mettere in scena un episodio che ricorda da vicino il femminicidio. Game of Thrones, una delle serie tv di maggior successo, era partita con stupri e altre infrazioni del politicamente corretto ed è stata corretta politicamente stagione dopo stagione. Gli interventi possono essere anche retroattivi: da Toy Story 2 è sparito un episodio di seduzione accusato di essere un esempio di mentalità patriarcale. I casi di rilettura woke della storia non si contano. Incredibile è la serie Bridgerton, soap opera ambientata nella nobiltà britannica tra XVIII e XIX secolo. La regina Carlotta, come potete vedere in questa pagina, è nera. Come molti altri personaggi, e pazienza se si tratta di un clamoroso anacronismo e di una invenzione. Stesso discorso per i Tre moschettieri, con un insensato d'Artagnan nero, e Cleopatra, anch'essa nera.
Un esempio di woke fiction di buona fattura è Get Out, un film dove i codici dell'horror vengono utilizzati per raccontare la vita dei neri oppressi dai bianchi. Anche in questo caso il fine è educare lo spettatore ma l'abilità nel maneggiare gli stereotipi della pellicola di genere salva lo spettacolo. Incredibile, e inguardabile, la svolta femminista di House of Cards nella stagione successiva al licenziamento di Kevin Spacey, accusato di innumerevoli molestie sessuali dalle quali è stato fino a qui assolto in tribunale. Spacey interpretava Frank Underwood, il presidente degli Stati Uniti, carica ereditata dalla moglie Claire. In un trionfo di femminismo woke arriva il giorno in cui una donna non dovrà più chiedere consiglio a un uomo. Claire licenzia tutti i ministri per sostituirli con donne. Certo, il finale non è che sia edificante ma almeno il merito della fine del mondo potrebbe andare a una donna e non a un uomo, sono soddisfazioni woke anche queste.
I supereroi sono stati manipolati in tutti i modi possibili da Catwoman lesbica a Superman bisessuale (fumetto del 2021).
Anche Don Giovanni, il seduttore per eccellenza, è diventato bisessuale e soprattutto delicato, basta maschilismo tossico. Romeo e Giulietta si è visto in versione Romeo e Giulietto ma anche Romea e Giulietta. Il successo di queste operazioni pedagogiche (si fa per dire) però sta scemando. Speriamo...
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