Nel gennaio del 1799, gran parte della flotta napoletana alla fonda nel Golfo di Napoli veniva data alle fiamme dagli equipaggi della squadra anglo-portoghese per impedire che potesse cadere nelle mani dell'armata francese guidata dal generale Jean Étienne Championnet, in procinto di entrare nella capitale. In quel rogo fatale andava in fumo non solo il patto tra corona e forze riformatrici (nobiltà di corte e aristocrazia borghese), progressivamente esauritosi dall'inizio della Rivoluzione francese. Ma conflagrava anche il progetto di consolidare la posizione mediterranea del Regno dei Borbone-Napoli in un'ottica di riequilibrio militare tra il blocco continentale (Francia e Spagna) e le antiche e nuove potenze, Inghilterra e Russia, affacciatesi con prepotenza nel mare interno europeo.
Protagonista di questo ambizioso programma, come scrive Emilio Gin nel volume Ferdinando IV di Borbone. Il Regno di Napoli e il Grande Gioco del Mediterraneo, edito da Rubbettino (pagg. 142, euro 14), fu, appunto, Ferdinando IV, un monarca la cui personalità venne sistematicamente distorta e avvilita nei giudizi dei contemporanei e della successiva storiografia fino ai nostri giorni. Dalle pagine del volume di Gin emerge invece un'immagine del tutto diversa del figlio di Carlo III di Borbone, che impone di rivedere a fondo lo stereotipo secondo cui le sorti del Regno napoletano fossero affidate nelle mani della volitiva regina consorte, l'austriaca Maria Carolina, e del filoinglese Segretario di Stato, John Francis Edward Acton. Sotto la maschera stereotipa del Re lazzarone e fannullone che ci è stata tramandata, il sovrano celava una volontà decisionista e centralizzatrice attenta a difendere le sue prerogative in modo da reggere in esclusiva il timone della politica del suo Stato.
Dall'analisi della corrispondenza, edita e inedita, e dal resto della documentazione accumulata da Emilio Gin, appare chiaro che Ferdinando fu sempre in grado di elaborare e mantenere la sua personale linea politica, a prescindere dalla spesso frequente, ma incidentale, comunanza di vedute sia con la moglie, sia con Acton e gli altri ministri.
La profonda passione del sovrano borbonico verso il mare e la conoscenza della dimensione fortemente marittima dei suoi domini nel contesto mediterraneo è un'altra pagina sconosciuta della sua biografia. Ferdinando fu un «re navigatore». Una sorta di «Pietro il Grande del Mediteranno», secondo la definizione di uno dei suoi rari estimatori, consapevole della necessità di creare un'Armata di mare che doveva, nei limiti imposti dalle risorse delle finanze statali, consentire al Regno di perseguire una neutralità non subalterna ma assertiva, segnando la direttrice principale della politica estera napoletana. Il mare, con Ferdinando, davvero, tornò a «bagnare Napoli», fino almeno alla Guerra di Crimea e poi alla catastrofe del 1860.
Il potenziamento della flotta, condotta in collaborazione con Acton, appare quindi, secondo l'inappuntabile narrazione di Gin, molto più in linea con le esigenze del tempo di quanto una storiografia falsificante ma consolidata abbia sinora giudicato. Se fosse stata realizzata nella sua interezza, lo strumento navale su cui il sovrano avrebbe potuto contare, composto da un adeguato numero di navi da battaglia e da naviglio minore, avrebbe collocato Napoli in una posizione meno subordinata rispetto alle potenze marittime europee, consolidato il peso della propria neutralità e fornito un dispositivo difensivo e offensivo in grado di contenere la perenne minaccia della pirateria barbaresca.
Il Regno, che si estendeva dai confini con i domini pontifici al Canale di Sicilia, seppe infatti reagire precocemente e in modo molto più dinamico rispetto agli altri potentati italiani ai mutamenti nell'area mediterranea. La dinamica delle relazioni con l'Impero russo e l'Inghilterra, ad esempio, ne sono una prova. L'avvicinamento tra Napoli e San Pietroburgo, poi pietra miliare delle relazioni delle Due Sicilie borboniche sino al termine della loro esistenza, avvenne infatti proprio durante gli anni di maggior frizione tra l'impero degli Zar e la Gran Bretagna, agli albori della competizione che li avrebbe visti contrapporsi anche nelle «acque calde» dell'antico mare nostrum latino per tutto l'Ottocento.
Verso Londra, allo stesso tempo, la media potenza borbonica mantenne sempre ottimi rapporti, grazie alla diplomazia personale di Ferdinando. Rapporti che però furono molto diversi da una politica di puro e semplice asservimento, come recita ancora oggi una versione dei fatti destinata a essere seppellita nel retrobottega dell'antiquariato storiografico.
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