Festival Gaber, una lezione di «teatro canzone»

Emozioni e standing ovation per l’interpretazione di Giobbe Covatta

Festival Gaber, una lezione di «teatro canzone»

da Viareggio

Grande musica e grandi interpreti nell'ultima serata del Festival Teatro Canzone Giorgio Gaber in una Viareggio che alla Cittadella ha accolto 5000 persone a sera. Un formidabile contenitore firmato Fondazione Gaber e Dalia Gaberscik, figlia del Signor G, che ieri ha portato sul palco Laura Pausini, Tosca, Mango e Giulio Casale. Con un Vincenzo Salemme che molla il set per rendere omaggio all'artista che nel ’91, in un teatro pieno di giovani, lo commosse. Enzo Iacchetti a presentare le due serate. Tutti interpreti inediti di un Gaber riletto nelle loro note, in chiaro scuro, ironico e duro, elegante e rigoroso. Viscerale nell'interpretazione di Tosca, che, con la sua piccola banda, Ora che non son più innamorato te la canta di pancia. Come I Borghesi e quella Torpedo blu speculare de La vita dell'uomo, perché «Gaber lo devi mostrare per far pensare». L'apertura è di Mango, che modula il poeta-Gaber in Verso il terzo millennio e Chissà dove te ne vai, a toccare il cuore, come Neruda e Lorca, a recuperare quella naturalezza e amore dell'occhio nudo sul mondo. Salemme cambia registro, con lui «per la prima volta la prosa al Festival», con il suo postino Tartaglione, pura commedia dell'arte, che anticipa il monologo gaberiano Falso contatto, verso un finale tragico. Tra il primo e secondo atto il quarto d'ora di Iacchetti, che si concede nove canzoni bonsai con la sua orchestra bonsai a sterzare sul ritmo e rientrare nella parte con Una fetta di limone. Altra pagina quando entra in scena Giulio Casale, «mio fratello fisico» scherza Dalia con affetto. Stesso modo di spostare i capelli, stessa postura, stessa anima a fiutare i testi tratti da Polli d'allevamento di Gaber, lo spettacolo che porta in giro da tempo. Ieri I padri miei, I padri tuoi e La festa, un'interpretazione accesa che si conclude con due invettive, «attuali dopo 30 anni, a scuotere e interrogare le coscienze». Il gran finale con Laura Pausini, musica leggera e canzone d'autore a fondersi. Canta Non insegnate ai bambini: nessuna sovrastruttura, il gusto di interpretarlo perché «non devi scegliere tra un genere e l'altro, ma ascoltarli entrambi». Un invito forte ad ascoltare «l'altro», poi via, a sperimentarlo con Come se non fosse mai stato amore. Applausi a crescere. Un successo che conferma il risultato della serata precedente con Iacchetti sempre a trainare e spazio libero ad artisti come Maurizio Crozza, Giorgio Panariello, Paolo Rossi e Giobbe Covatta. Con Andrea Rivera che si prende una ribalta non sua, ritocca il pezzo di Gaber La Chiesa si rinnova, spara a zero sulla Chiesa e si perde nella demagogia. Crozza entra con Destra e sinistra e parte per un excursus documentato sulla politica italiana, inserisce Salviamo 'sto paese e chiude con il durissimo La legge. Mentre Covatta miscela sapientemente il suo dialogo con l'Altissimo e Madonnina dei dolori, per chiudere con il video La libertà: Gaber che canta e i bambini dell'Africa a fare il coro. Brividi e standing ovation per lui. Panariello aggancia e ci mette del suo nei pensieri del Signor G sulla donna.

Chiude Paolo Rossi che ricorda il formidabile vuoto di memoria de L'aspettando Godot fatto con Gaber, Jannacci e Felice Andreasi, reinterpreta il Prete Liprando e chiude con il ritmo de La strana famiglia. Una forza dirompente, il divertimento, la commozione: tutto in questo omaggio a Gaber, nel gusto semplice di condividere pezzi di vita e di arte.

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