Fini e Schifani, mani in tasca a senatori e deputati

RomaMille euro a testa, ogni trenta giorni. Ovvero, il 10% in meno in busta paga. Tranne colpi di scena - sempre possibili - sarebbe questo il «sacrificio» chiesto anche a deputati e senatori, senza distinzione di rango. Andranno dunque a braccetto, Montecitorio e Palazzo Madama, nell’individuare la quota da tagliare, per contribuire, in maniera simbolica, alla stretta generale. Le due Camere, infatti, sembrano indirizzate a equiparare la somma in più da girare alle casse dello Stato alla soglia prevista, nella manovra, per ministri e sottosegretari. Il 10%, appunto, qualora non si cambi linea strada facendo.
Si vedrà, siamo ancora nel campo delle idee. Come si sottolinea in un comunicato della presidenza della Camera, diffuso in mattinata: «Ogni anticipazione al riguardo, come quella avanzata dal quotidiano La Repubblica», che delineava un taglio del 15%, «è frutto di ipotesi allo stato senza fondamento». Tra l’altro, «ogni decisione in materia di partecipazione dei due rami del Parlamento al contenimento della spesa pubblica sarà presa d’intesa con Palazzo Madama e dopo che saranno state conosciute le determinazioni del governo in materia».
Ma al di là delle inevitabili e parziali smentite, pare assodato che si ragioni sul contenimento di due delle voci che compongono lo stipendio dei parlamentari (leggermente più alto, di circa 150 euro, quello percepito alla Camera alta). La riduzione percentuale su cui al momento si riflette, escludendo la quota relative ai rimborsi, inciderebbe infatti su indennità (5.486 euro al mese per i deputati, 5.613 per i senatori) e diaria (4.003 euro per tutti). Tradotto: se si moltiplicano i quasi mille euro di risparmio per i 952 rappresentanti del popolo, la cifra complessiva si aggirerebbe su poco meno di un milione al mese, undici abbondanti ogni anno.
Di certo, Renato Schifani e Gianfranco Fini, accompagnati dai rispettivi vicepresidenti e questori, ne parleranno a lungo durante l’incontro ad hoc calendarizzato per oggi pomeriggio. Riunione importante, anche se potrebbe essere soltanto interlocutoria. Perché non si prenderanno decisioni - assicurano da ambo le parti - prima che il decreto correttivo compia per intero il suo iter. Cioè, bocce ferme, finché la manovra non finirà sulla Gazzetta ufficiale.
Ma in attesa di conoscere quali direzioni prenderanno le altre misure allo studio - si andrebbe dalla razionalizzazione dei locali extra Palazzo, per sforbiciare il capitolo di spesa sugli affitti, ai tagli sui compensi di funzionari e dipendenti che superano il tetto dei 90.000 euro annui, senza dimenticare l’innalzamento dell’età pensionabile - vuole vederci chiaro l’Associazione degli ex parlamentari. «Ancora una volta, come già avvenuto in passato a opera del governo Prodi - si legge in una nota - sembra profilarsi un intervento di rimodulazione dell’indennità parlamentare con una legge di iniziativa governativa, sulla quale potrebbe essere posta la questione di fiducia. Tale iniziativa configura una plateale violazione della autonomia e della dignità del Parlamento, essendo l’ufficio di presidenza delle due Camere l’unica sede legittimata a intervenire in materia». Già, l’autonomia, all’insegna della quale, gli ex «auspicano» che Schifani e Fini «evitino questa anomalia e riportino le decisioni da prendere nell’ambito parlamentare».
Distinguo che arrivano pure dai consiglieri parlamentari della Camera.

«Pronti», assicurano, «a farsi responsabilmente carico dei sacrifici richiesti alla generalità dei cittadini italiani», anche se «l’individuazione degli obiettivi di riduzione», chiedono, «dovrà incidere su tutti i capitoli di bilancio, partendo dalle spese per consulenze e dalle spese discrezionali non immediatamente riconducibili alle finalità proprie dell’istituzione parlamentare».

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