Fini lo sciacallo si sveglia: inno al partito dei giudici

L’assalto dei pm a Berlusconi è una boccata d’ossigeno per l’ex leader di An che torna a sognare il rientro in gioco. E intanto ringrazia i magistrati

Fini lo sciacallo si sveglia: inno al partito dei giudici

La democrazia è in mano ai giudici. A questo punto davvero non serve neppure andare a votare. Per scegliere chi deve governare gli italiani basta una richiesta in tribunale. Valuteranno loro a chi affidare Palazzo Chigi. Il Parlamento, messa così, può anche sciogliersi. Chi sono i pretendenti alla repubblica delle manette? Tanti. Si va da Montezemolo alla Banca d’Italia. Intanto però i primi a cavalcare il messaggio sono in tre. Bersani come rappresentante dell’oligarchia sinistra della prima Repubblica. Casini come esperto navigatore di mezzo democristiano e il solito Gianfranco Fini, leader senza terra che trama per accaparrarsi i territori della destra. Il primo carica a testa bassa. Il secondo abbraccia Berlusconi con la speranza di soffocarlo: «Bene ha fatto a dire che si difenderà davanti ai giudici». Il terzo si muove come un fante sugli scacchi, obliquo. Tutti e tre hanno una sola strategia politica: speriamo di arrivare al potere senza passare dal voto.
L’illusione è sempre e solo quella: ribaltare tutto, disarcionare Berlusconi, con un colpo che arriva da fuori, con il fuoco di qualche cecchino in toga e la batteria mediatica. Il colpo della Boccassini era atteso. Fini ha scommesso tutto il suo futuro politico sulla magistratura. Ha capito che è l’unica arma che è in grado di giocarsi. Non è un caso che i suoi tre luogotenenti più rumorosi, Bocchino, Granata, Briguglio, non avevano fatto in tempo a lasciare il Pdl che già si erano iscritti al partito dei giudici. Gianfranco per un piccolo tempo ha provato a fare politica. Quando parlava di bioetica copiava Della Vedova, era il tentativo di darsi un’identità politica riconoscibile. Ma si vedeva che non era il suo pane. Ci ha provato con le imboscate parlamentari, sperando di abbattere il premier per sfinimento. Si è giocato tutto sulla sfiducia del 14 dicembre. E anche lì ha fallito. Ha sempre inseguito il golpe di palazzo, perché sa di non avere i voti. Come ha ammesso lo stesso Granata, il Fli si è sgonfiato, non c’è entusiasmo, latita, non conta, sembra l’Api di Rutelli. L’unica differenza è che i finiani sono più rancorosi. Gianfranco è un leader assente, sta troppo in vacanza, e più che alla politica pensa a fare il compagno della Tulliani. Molti hanno capito che come capo di partito ha perso smalto e carisma. Questa la situazione fino a due giorni fa. La sparata della Boccassini arriva appena in tempo. È una boccata di ossigeno e di speranza. Una nuova illusione per tirare a campare.
Fini questo lo sa. Infatti ha voluto ringraziare il partito dei giudici. Non ha attaccato Berlusconi con la disperazione viscerale di Bersani, che si è messo a urlare: vergogna, vergogna, il mondo ci guarda. Fini è più sottile di Bersani. Non attacca mai frontalmente, ma sempre in modo obliquo. Ecco allora il discorso alla nazione su quanto sono belli, buoni, bravi e fondamentali i giudici. Li ha accarezzati, li ha lisciati. Il patto con la magistratura finora gli ha risparmiato tutte le noie che toccano a Berlusconi. I suoi alleati togati hanno chiesto l’archiviazione del brutto affare di Montecarlo, dove Gianfranco è sempre indagato, cercando di far decantare le accuse, sperando nell’oblio. La corsia preferenziale è tutta per Berlusconi e il tam tam scatta sempre al momento giusto. È un cronografo svizzero e batte sempre il tempo della politica.
Le storie di Ruby Rubacuori sono quindi il supplemento di ottimismo di cui gli avversari del Cavaliere avevano bisogno. Eppure lo stesso Fini dovrebbe sapere che le voci di escort e prostituzione portano la firma di fonti ambigue. Davanti alla video confessione di Rachele il dubbio che fosse una bufala è stata la prima reazione. È una prostituta che si fa pubblicità con il presidente della Camera? Questo hanno scritto e detto giornali e tv.

Quando tocca a Berlusconi non c’è mai il dubbio, si tira fuori subito il reato. Le parole della D’Addario erano una sentenza, quelle di Ruby, che lo scagiona, una falsa testimonianza. La condanna è pronta. Mignottocrazia. Favoreggiamento. Il Cavaliere è colpevole sino a prova contraria.

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