Fiorello è un fenomeno. Va premesso. Per onestà intellettuale, per dovere, per pudore, per senso di giustizia e anche un po' per senso della vergogna. Va detto perché senza questo inizio, noi ci sogneremmo mai di attaccarci anche la fine. Va detto perché saremmo i primi a voler Fiorello in video ad ogni ora, in ogni quiz, in ogni tg, in ogni reality, in ogni Festival di Sanremo. Va detto perché saremmo i primi a voler appiattire la tv tra due fette di pane per riuscire ad addentare meglio ogni sua rara performance. Perché Rosario Tindaro (come la Madonna nera a cui è tanto devota sua madre) sospende, dilata e illumina tutti i programmi in cui irrompe con le sue centellinatissime «visitine». Perché spazza via quello che c'è stato in onda fino a quel momento e lascia in carenza d'ossigeno tutto ciò che in onda dovrà ancora andarci. Perché Fiorello è, per la tv, ciò che Ronaldo è stato per l'Inter prima degli azzoppamenti, dei chili di troppo e delle troppe donne, prima della depressione, delle fughe nelle favelas, prima che decidesse di dimenticarsi chi era Ronaldo. Anche Fiorello è un fenomeno che ha rischiato di scordarsi di se stesso. Poi però si è reincontrato. E per un po' lo abbiamo riavuto anche tutti noi.
Ma oggi che però, Fiorello è assente da una vera battaglia (cioè da un vero prime time), ormai da dieci anni, abbiamo capito una cosa che ci confessiamo solo timidamente. Se davvero non possiamo riaverlo, ci piacerebbe che almeno tacesse. Non in radio, ovvio, dove funziona come nessuno. Non negli spot, ovvio, dove, che abbia accanto il grande Mike, un cane pezzato bianco e nero, una talpa cieca o il clone di se stesso, è sempre e comunque Fiorello. Ci piacerebbe che si astenesse dal commentare la battaglia visto che dalla battaglia si è tolto, lasciando orfano il suo pubblico. Rosario ha da poco compiuto cinquant'anni e ha già sentenziato più di Celentano. Solo che lui, a differenza dello sgrammaticato Molleggiato, non parla di ecologia, di immobiliaristi corrotti o del buco nell'ozono. Fiorello parla (possibilmente male) dell'arena da cui è fuggito mentre guarda gli altri che, in un modo o nell'altro, a torto o a ragione, armati o in mutande, ancora ci combattono.
Fiorello dichiara principalmente per smontare la tv («Quella degli ultimi dieci anni è la più brutta mai esistita, perfino peggiore di quella degli anni Ottanta») . Armiamoci e partite sembra intendere ogni tanto il mattatore, come questa mattina sulla prima pagina di Repubblica dove scrive «Che tristezza questa tv di vigliacchetti»; come qualche tempo fa all'università Cattolica di Milano, nel corso di una lezione sul piccolo schermo: «Io e Arbore, siamo un po' vigliacchetti per tentare qualcosa di nuovo, soprattutto se abbiamo avuto successo con un programma, abbiamo paura di fare altro rimettendoci in gioco». Eccolo lì il termine, impacchettato quasi da vezzeggiativo, di cui ha voluto condividere il perso con qualcuno (l'ignaro Arbore), eccolo lì il dente su cui di solito va involontariamente a sbattere la lingua. Che Fiorello abbia paura di dover fare onore a Fiorello? L'ultima volta, in questi dieci anni, in cui ha accettato di andarsi a incasinarsi la vita con questioni di audience è stato con la striscia di Raiuno «Viva Radio 2... minuti». Un interregno pacifico, in termini d'ascolto, che si collocava là dove la concorrenza aveva appena spento il Tg5 e doveva ancora accendere «Striscia la notizia». Poi c'è stato Sky Uno, ovviamente, da cui Fiorello «si è lasciato riprendere» durante il suo spettacolo teatrale. Mentre portava in scena ciò che ha declinato per tutta la vita: la versione adulta del suo villaggio vacanze. La versione consapevole e quindi geniale, del copione Fiorello.
La tv degli ultimi dieci anni forse non è la più brutta di tutti i tempi, è semplicemente quella che dà un tempo alla tv che faceva Fiorello. Uno zapping capace di portarci indietro di dieci anni, ci catapulta nella preistoria della tv che è come i giovani di oggi: ogni quattro, cambiano generazione. Lo sa bene Maria De Filippi, che nell'arena ci sta con due prime time e due day time, più, dall'anno scorso, l'esperimento di «Italia's Got talent». Si è scelto una buona compagnia Fiorello per mettersi in discussione, ha fatto bene a tirare in ballo quell'Arbore che, con lui, condivide la totale assenza di modelli (Renzo e Rosario sono unici e irripetibili e non si ispirano a nessuno) e che, come lui, è stato all'origine della tv degli anni Novanta, prima che apparisse quella bella faccia di Pietro Taricone e tutto cambiasse. Arbore si è inventato i personaggi fuori contesto e i programmi destrutturati («L'altra domenica», «Quelli della notte», «Indietro tutta») così come Mike si è inventato i quiz e così come Tortora, con «Portobello», si è inventato un sacco di cose che avremmo poi visto, sezionate, in altri contenitori. E Fiorello si è inventato Fiorello. Solo che aveva ragione anche Maurizio Costanzo, quando diceva che «ognuno fa sempre lo stesso programma». Anche Fiorello: la gag, la canzone (a volte storpiata), l'ospite... che si chiami «Stasera pago io» o qualcos'altro, sempre di quello si tratta.
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