Ci mise tre anni Michelangelo - dal 1501 al 1504 per «estrarre» da quell’immane blocco di marmo delle Apuane la statua del giovane fromboliere colto nella vittoriosa e giovanile arroganza. Ci avevano già provato Agostino di Duccio e Antonio Rossellino, due scultori di tutto rispetto, ma soltanto il Buonarroti riuscì nel cimento e in tre anni, lavorando nel cortile dell’Opera del Duomo, creò il Davide, quattro metri e dieci centimetri di immortale capolavoro. Accanto al bellissimo adolescente, ancora di più avrebbe sfigurato la goffa statua del Nettuno sulla vicina fontana in piazza della Signoria, opera di Bartolomeo Ammannati ( «Ammannato, Ammanato, che bel marmo hai rovinato», dicevano i fiorentini). Ma che il Davide avrebbe provocato una disputa fra lo stato italiano e la sua Firenze, questo Michelangelo proprio non se lo sarebbe potuto immaginare. La disputa verte sulla proprietà della statua, oggi conservata alla Galleria dell’Accademia dove qualche anno addietro è stata sottoposta ad accurato restauro (la scultura in piazza della Signoria è soltanto una copia). Lo Stato, per bocca del ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi, sostiene che il Davide gli appartiene, Firenze, per bocca sindaco Matteo Renzi, risponde inviperita che il Davide è suo e che nessuno osi toccarlo. Non è soltanto una querelle ferragostana, ma un vero casus belli basato sulle rispettive competenze su opere d’arte di altissimo valore. Ma c’è qualcosa di più che spiega lo sviscerato amore del comune fiorentino per il capolavoro michelangiolesco: trovandosi all’interno di un museo civico, il giovane riccioluto, che guarda il mondo con un certo sprezzo, rende al comune un sacco di bei soldini in biglietti di ingresso alla Galleria, per la precisione 8 milioni di euro all’anno pagati dai turisti di tutto il mondo. E rinunciarci per un comune, affamato come tutti i comuni, è un sacrificio dolorosissimo. La richiesta del Ministero dei Beni Culturali si basa su una dettagliata relazione scritta dagli avvocati dello Stato Maurizio Raugei e Luigi Andronio per conto del ministero stesso. I due legali del ministero hanno ricostruito la storia del David partendo da un primo punto: il Comune di Firenze, che nasce in epoca granducale, tra il 1771 e il 1783, non può essere considerato l’erede diretto della Repubblica fiorentina che nel 1504 pagò i 400 fiorini per saldare il debito contratto con Michelangelo dagli operai dell’opera del Duomo e dai Consoli dell’Arte della Lana che lo avevano commissionato per la cattedrale. Si tratterebbe, dunque,di un’eredita tra Stati,fino alla riunificazione nel Regno d’Italia «che-scrivono i legali-non lascia spazio alla sopravvivenza di alcuna autonomia locale». Replica del sindaco Matteo Renzi, disturbato nei preparativi del Ferragosto: «Con buona pace degli avvocati romani, i documenti inoppugnabili in possesso dell’amministrazione comunale e dello Stato sono chiari: il David è della città di Firenze». Ma non è detto.C’è un altro passaggio nella lunga relazione ministeriale, che, secondo i due avvocati, taglia definitivamente la testa al toro: quando il David fu trasferito nel 1872 dall’arengario di Palazzo Vecchio all’Accademia, il Comune non avrebbe rivendicato alcuna proprietà. Per quanto riguarda l’atto del 1871 che certificava il passaggio di proprietà al Comune dell’intero palazzo e di tutte lestatue presenti nell’arengario, nella loro relazione i due legali citano un rogito notarile del 9 novembre 1871 con il quale si procedeva alla consegna del solo edificio del Palazzo «con tutti i suoi annessi, infissi ed affissi e con tutti gli oggetti mobili tassativamente indicati in apposito inventario sottoscritto dalle parti ». Ma sia nella legge delega, sia nel verbale di consegna «non si parla affatto della statua del David che pur aveva assunto nel frattempo enorme valore anche simbolico». Un’imperdonabile distrazione? Ovviamente il sindaco Renzi è di parere assolutamente contrario. «Per sostenere che il David non appartiene a Firenze - proclama - non basta arrampicarsi sugli specchi e credo che un Ministero tutto potrà fare tranne che ignorare una disposizione di legge, aggrappandosi alle dichiarazioni di un delegato comunale. Certo, questo Governo è capace di sorprenderci su tutto, ma spero non varcheranno almeno questo limite. Detto questo, visto che è Ferragosto, eviterei polemiche sterili». Poi, dopo aver lanciato la pietra politica, ripone la fionda, ci ripensa e lancia invece un invito al dialogo: «Le Istituzioni dice- non bisticciano come bambini, ma trovano le soluzioni più opportune. Chiederò al ministro Bondi un incontro, appena sarà rientrato in Italia, per fare il punto su tutte le questioni ancora aperte nei rapporti tra Firenze e il Governo centrale: dal David ai Grandi Uffizi, dal Maggio alla Pergola fino alla legge speciale». Molto più cauta sugli ultimi sviluppi, la sovrintendente del Polo museale fiorentino, Cristina Acidini Luchinat, che a suo tempo sovrintese anche al restauro della statua (realizzato non senza critiche e polemiche fra gli stessi restauratori) e che oggi dice: «Seguo con attenzione l’evolversi della vicenda ». Che rimanga di proprietà fiorentina o che passi allo Stato, l’importante, per un capolavoro di interesse mondiale com’è il David, è che sia conservato nel modo migliore, come pare che sia attualmente. Quando Michelangelo pose mano alla titanica opera, quello che si trovò di fronte era un gigantesco blocco di marmo grossolanamente abbozzato e il David che si era negato agli altri scultori, sbocciò dalle sue mani. Fu una commissione e apposita composta fra gli altri da Cosimo Rosselli, Botticelli, Giuliano da Sangallo e Leonardo da Vinci (difficile, in epoche successive, riunire in una sola commissione tanti artisti e di tale valore, ma quello era il Rinascimento) a decidere la sistemazione della statua, che nel frattempo aveva assunto un significato civile e repubblicano, davanti a Palazzo Vecchio. Nel 1527, durante una rivolta popolare, il braccio sinistro fu spezzato in tre parti. Il David rimase ancora 350 anni a presidiare la piazza, mentre il candido marmo si copriva di incrostazioni. Nel 1873 si decise di spostato alla Galleria dell’Accademia dove si trova tutt’ora, collocato alla fine di un corridoio prospettico illuminato da un lucernario, nell’ apposta tribuna costruita da Emilio De Fabris nel 1882.
Come tutte le opere d’arte che esercitano sugli osservatori un’attrazione quasi morbosa- dalla Gioconda leonardesca al ritratto funebre di Ilaria del Carretto, tanto per citarne due fra i moltianche il David corse i suoi rischi: fu danneggiato volontariamente per la prima volta nella sua storia il 14 settembre del 1991 da un certo Pietro Cannata che, mischiato tra il pubblico, colpì con un martello la punta del secondo dito del piede sinistro. Ma il David comunque sopravvisse. Simbolo dell’eternità dell’arte. Sopravviverà anche a questi litigi agostani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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