Sono in molti ad evocare per la presidenza americana la cosiddetta «maledizione del secondo mandato» che colpisce i presidenti rieletti, come George W. Bush. È fuor di dubbio che il presidente repubblicano sia oggi assediato da tali problemi che la Casa Bianca sembra scivolare su un piano inclinato. Da ultimo è esplosa l'incriminazione del consigliere principe del vice presidente, Lewis Libby, ed è divenuta precaria la situazione di Karl Rowe, artefice dei successi presidenziali.
Hanno dovuto fare i conti con la giustizia i capigruppo repubblicani della Camera e del Senato, a cui si è aggiunto il ritiro di Harriet Miers, candidata del presidente alla Corte suprema. Per non parlare del più importante fattore di crisi, l'impossibilità di chiudere rapidamente la guerra d'Irak, aggravato dalla cattiva gestione di Katrina. Ciò detto, tuttavia, a me pare che il modello americano continui ad essere forte e stabile.
C'è innanzitutto la sperimentata capacità del sistema di affrontare e correggere i gravi errori che nascono nelle sue istituzioni. Anche in questi giorni, le deviazioni verificatesi ai massimi livelli dell'Amministrazione - Vicepresidenza, Dipartimento di Stato, Cia, Consiglio nazionale della Sicurezza... - sono state messe a nudo da una giustizia attrezzata ad affrontare le questioni delicate senza omissioni e accanimenti sia nei confronti dei pubblici poteri che dei potenti mass media quale il New York Times.
Del resto la dialettica in positivo tra giustizia e politica non è nuova. I grandi scandali che hanno investito negli ultimi decenni i vertici del Paese, il Watergate di Nixon, l'Irangate di Reagan, il Monicagate di Clinton, sono stati tutti gestiti nella normalità istituzionale. Mai, neppure una volta, le istituzioni ne hanno risentito, le leggi sono state cambiate, l'opinione pubblica ha chiesto la fine del sistema o l'alterazione dell'equilibrio costituzionale. Mai e poi mai sono stati messi in questione i diritti individuali iscritti nel Bill of Rights, fin dal 1790.
È per questo che anche l'America di George W. Bush supererà la nuova crisi. L'attuale presidente rimarrà alla Casa Bianca fino al 2009, essendo stato rieletto dal suffragio popolare nel 2004. Il governo presidenziale espresso dal popolo è garanzia di stabilità, mentre al Congresso spetta il controllo sulla presidenza senza la possibilità di inimmaginabili ribaltoni.
Sono i contrappesi e gli anticorpi che danno solidità alla politica americana in un sistema che sa superare anche i momenti più difficili. Fu superata la crisi del Vietnam quando il presidente democratico Lyndon B. Johnson nel 1968 rinunciò al secondo mandato. Con Nixon, nel 1974, fu archiviato anche il primo e unico impeachment della storia americana. Restò presidente anche Clinton, quando il sesso trasgressivo fece ingresso, non per la prima volta, alla Casa Bianca.
Anche oggi è facile prevedere che il presidente repubblicano conserverà il potere conferitogli dal popolo, pure se dovrà correggere alcune rotte.
Questa è l'America, Paese vivo che riesce ancora ad attraversare con fiducia in se stessa anche le crisi più gravi.
m.teodori@agora.it
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