Non è mai bello parlare di «foto preferita», ma ad aggirarsi nell'ampia sala che il Museo Diocesano Carlo Maria Martini dedica da oggi e fino al 9 febbraio allo sguardo intenso e mai banale di Giovanni Chiaramonte, non possiamo non soffermarci qualche minuto in più su quel suo scatto del '99, fatto in cima alle terrazze del Duomo, con un gioco di luci e ombre, di salite e di discese che ipnotizza. La fotografia di Chiaramonte, nato a Varese nel 1948 e mancato a Milano un anno fa, è così: poetica e concettuale al tempo stesso, entra sottopelle eppure è figlia di un gran lavoro razionale dietro l'obbiettivo.
Abbiamo ora l'occasione, in «Giovanni Chiaramonte. Realismo Infinito», mostra curata da Corrado Benigni, con notevole catalogo di Electa, di ripercorrere al Diocesano oltre due decenni di ricerca fotografica portata avanti con dedizione e pignoleria: sono una quarantina le foto esposte, suddivise in tre sezioni, una dedicata al nostro Paese, una all'Europa e una alle Americhe, che dagli anni Ottanta ai primi anni Duemila ci mostrano il paesaggio e le «vedute urbane», vera cifra stilistica di Chiaramonte. «Ogni scatto è un frammento del suo sguardo sul mondo e per noi rappresenta una preziosa pietra angolare per continuare a condividere la sua visione, con la stessa dedizione e passione», ci dice il figlio Nicolò, felice di quest'antologica nella città in cui il padre ha studiato filosofia, prima di avvicinarsi al cinema, all'arte concettuale e alla fotografia di Ugo Mulas. Impossibile sintetizzare qui una carriera intensamente vissuta sia nella produzione che nella teoria (Chiaramonte è stato, tra le altre cose, docente allo Iulm). «Ha sempre osservato il reale accogliendolo nella sua totalità, libero da ogni preconcetto, pronto ad accogliere l'imprevedibilità dell'esistenza. Per questo le sue fotografie parlano ancora oggi al nostro cuore e ci aiutano a scorgere nella realtà i segni di qualcosa che va oltre la realtà stessa dice al Giornale Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano -. È questa la ragione più profonda per cui il nostro museo gli dedica questa antologica a un anno dalla sua scomparsa». Muovendoci davanti ai pannelli che scandiscono il percorso espositivo, ci si aspetta che Chiaramonte compaia all'improvviso. Aggiunge il figlio Nicolò: «Diversi amici, me compreso, hanno ritrovato in auto negli ultimi mesi un sigaro di Giovanni, che aveva debitamente nascosto in qualche anfratto. Chissà, forse un modo per ricordarci: Signori, sono sempre qui in viaggio con voi'». Acuto esploratore del mondo, Chiaramonte ha saputo compiere come testimoniano gli scatti in mostra una sorta di pellegrinaggio che tocca Milano, Atene e Roma, passa da Berlino e arriva al Bosforo e a Gerusalemme. Le vestigia della Vecchia Europa lasciano il passo alla natura dell'America Centrale dove Chiaramonte cambia, inevitabilmente, lo sguardo.
Cercando sempre, come suggerisce il titolo dell'esposizione, l'infinito del reale, Giovanni Chiaramonte cerca, forse ancor di più, le infinite possibilità della fotografia stessa: «La sua arte commenta il curatore Corrado Benigni è da sempre legata a un'esplorazione esistenziale e spirituale». La sua fotografia, lo dimostrano anche gli scatti commissionati dalla Diocesi di Milano per l'Evangeliario Ambrosiano del 2011, non è consolatoria, ma sfidante: un Altro mondo, forse, è possibile.
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